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Fabrizio Mocata, il Tango e quella nomination ai Latin Grammy…

Fabrizio Mocata – Foto Salvino Martinciglio

Un pianoforte “sfruttato” in tutta la sua capacità orchestrale e un’armonica a bocca che sembra una fisarmonica e, a tratti, persino un bandoneon. Fabrizio Mocata, pianista siciliano con il Tango nelle vene e Franco Luciani, argentino d’origine italiana, pluripremiato virtuoso dell’armonica cromatica, con Tangos Cruzados hanno fatto un piccolo capolavoro. Il disco uscito nel dicembre dello scorso anno per la prestigiosa etichetta Aqua Records di Buenos Aires ha avuto un percorso in crescendo, con molti riconoscimenti. L’ultimo è la nomination ai Latin Grammy Award, premiazione che si terra a Miami il prossimo 14 novembre. 

Entrambi quarantenni, «ci separano quattro anni, siamo cresciuti nell’era analogica», puntualizza Fabrizio, parlando della loro voglia di suonare gli strumenti puri, senza elettronica o effettistica. Musicisti fino in fondo. Si sono incontrati per la prima volta nel 2019 al Festival di Tango di Granada dove hanno suonato insieme grazie a una felice intuizione di Tato Rebora, lo storico direttore artistico del festival. Hanno portato Tangos Cruzados anche in Argentina nel festival di Cosquin suonando davanti a 30mila persone. «A marzo del 2025 saremo in Italia per una serie di concerti e quindi torneremo sul palco di Grenada», mi anticipa Fabrizio.

Dei nove brani che compongono il lavoro, due sono firmati da Fabrizio e Franco, Pazza e Sensibile e Cruzando Aguas, mentre tutti gli altri sono pezzi che hanno fatto la storia del tango, da Jenny e Paul di Astor Piazzolla a El Choclo di Ángel Villoldo a El Llorón di Juan Maglio ed Enrico Cadícamo. Brani riarrangiati, dove il Tango diventa improvvisazione ma anche recupero filologico di musiche composte nella prima metà del Novecento.

Fabrizio, siete stati nominati ai Latin Grammy Award, un bel traguardo!
«Il nostro lavoro è stato selezionato tra i cinque che si contenderanno il premio. Non me l’aspettavo, sapevo che eravamo stati iscritti ai Grammy dall’etichetta discografica, ma tra l’esser candidati e l’esser nominati c’è una differenza abissale! Quindi, ho accolto la nomination con molta sorpresa e altrettanta felicità, perché comunque è un riconoscimento importantissimo. Staremo a vedere cosa succederà il 14 novembre, ma direi che già questa tappa è una grandissima gioia».

Quindi il 14 sarete a Miami…
(Ride): «Sì, un viaggio della speranza!».

Questi traguardi si ottengono con studio, sudore e determinazione… perché ti sei innamorato proprio del Tango, perché l’Argentina?
«Sono 15 anni che faccio su e giù dall’Argentina ed è una vita che suono Tango. Non  mi sono assolutamente improvvisato. È un percorso lungo che mi sono guadagnato nel corso degli anni».

Appunto, ma perché il Tango ti ha appassionato così?
«In realtà sono di formazione jazzistica, anche se mi sono diplomato in pianoforte classico. Proprio durante il conservatorio ho incontrato la musica di Astor Piazzolla e, naturalmente, ho iniziato un percorso che mi ha portato a conoscere e studiare il Tango classico, a innamorami Din un genere nel quale ritrovo le nostre radici. La migrazione italiana tra il 1850 e il 1920 è stata fondamentale per il contributo culturale che ha dato vita al Tango. Si parla di lui come di una musica nostalgica: di che cosa si può avere nostalgia se non della propria terra lontana? I cognomi dei creatori del Tango sono tutti italiani, Contursi, Manzi, Esposito, Troilo, D’Arienzo, Di Sarli, Cadícamo, Discépolo… insomma più di così!».

Da che musica popolare italiana deriva?
«Sicuramente dalla melodia napoletana e poi dal Bel Canto, l’Opera. Anche Tito Schipa (tenore e attore leccese, ndr) è stato diverso tempo a Buenos Aires. Per questo ho anche un progetto che si chiama Recital Cantango, dove suono con il tenore Fabio Armiliato: leghiamo il Tango all’Opera e riconosciamo questa unione profonda tra la nostra cultura e quella che ha dato vita al Tango. Oltre alla musica italiana il Tango ha avuto altre influenze, la presenza africana a Montevideo, vedi il Candombe, la chitarra spagnola, l’uso degli archi che ha una derivazioni ebraica».

È un percorso assimilabile a quello del jazz e dello Choro brasiliano…
«Esatto. Le grandi migrazioni verso le Americhe hanno generato incontri di culture che, diversamente, non sarebbero stati possibili. Nelle interviste che faccio in Argentina mi chiedono spesso come mai un italiano suona il Tango. Io rispondo: “Dovreste chiedervi perché mai un italiano non non dovrebbe suonarlo, visto che questo genere contiene un pezzo della nostra storia e cultura”».

Il Tango caratterizza l’Argentina tanto quanto Maradona!
«È un doppio filo. Napoli ha influenzato il Tango e Maradona ha sedotto Napoli, è un round trip, una storia di andata e ritorno!».

Anche Franco Luciani non mi sembra un nome tipicamente spagnolo!
«Infatti, è di origine italiana. Suona l’armonica cromatica, anche se nasce come batterista. È stato scoperto da Mercedes Sosa che l’ha voluto con lei nelle ultime tournée, tra cui quella al Parco della Musica di Roma, concerto bellissimo del 2008. Lui ha sempre condiviso il Tango con il folklore argentino e possiede anche una bella tecnica jazzistica. Quando abbiamo suonato a Palermo lo scorso anno, è venuto ad ascoltarci anche Mario Biondi che poi ha voluto Franco come ospite nel suo singolo Fool for your love».

Venite entrambi dal jazz?
Condividiamo entrambi questa passione, io lo suono da quando ero nella culla! Ho creato rielaborazioni in jazz di autori classici in progetti come Free the Opera! e Puccini Moods, in trio con Gianmarco Scaglia ed Ettore Fioravanti».

Sei nato in una famiglia musicale?
«No, mio padre era un melomane e faceva l’avvocato, io sono laureato in legge ma ho coltivato di più la musica, da quando ho messo le mani sul pianoforte ho sempre sentito l’esigenza di improvvisare».

A proposito, nel Tango c’è improvvisazione?
«Oggi sì. Nasce come genere popolare, dunque improvvisato, poi è stato codificato e, nelle contaminazioni moderne, grazie a Piazzolla che ha sdoganato il concetto d’improvvisazione, ha cominciato a coesistere con strutture affini al jazz. Quindi il Tango è spazio improvvisativo ma è anche arrangiamenti rigorosi, musica che dà libertà e struttura. Un genere che, secondo me, ha una nobiltà importante e una universalità di messaggio».

Tu e Franco siete arrivati all’essenza del Tango, suonandolo in duo, a parte l’intervento del contrabbassista Pablo Motta in quattro brani del disco!
«Siamo due musicisti che usano i rispettivi strumenti in maniera atipica e non limitata. Alla fine abbiamo semplicemente voluto suonare insieme e ci siamo resi conto che non avevamo bisogno d’altro perché funzionava bene così. Anzi, ci dà la possibilità di avere più gioco e interazione diretta».

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