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Paolo Benvegnù e quel “fragilissimo” disco di vent’anni fa

Paolo Benvegnù – Foto Antonio Viscido

«Scusami per il telefono, funziona male… è l’unica cosa che l’Agenzia delle entrate non mi ha ancora pignorato!». Se esistono ancora delle certezze in questo grande, pazzo mondo musicale una di queste è l’ironia di Paolo Benvegnù. Con lui non esistono interviste ma happening, voli in picchiata, affermazioni apparentemente categoriche, provocazioni, cambi di rotta. Inutile dire che il bersaglio delle sue intemerate ironiche è sempre se stesso. Benvegnù contro Benvegnù, un’epica battaglia che non avrà mai fine.

L’ho chiamato in occasione dell’uscita (l’11 ottobre) di Piccoli Fragilissimi Film Reloaded, album che vent’anni fa ha lasciato un segno nella generazione nata negli anni Settanta. L’etichetta  aretina Woodworm Publishing ha voluto ripubblicarlo perché, giustamente, è uno di quei lavori cantautorali che non vanno dimenticati. Per l’occasione gli undici pezzi di cui l’album originale si componeva più una doppia versione di Catherine e tre bonus track, sono stati rivisti con la collaborazione di altrettanti artisti. C’è Paolo Fresu che ricama con poesia Il mare verticale, cantato da Paolo e da Ermal Meta, la raffinatezza di Tosca in Cerchi nell’acqua, Malika Ayane, non nuova a collaborazioni con il musicista milanese in Io e te, Appino in Only for you, Giovanni Truppi nella bellissima Il sentimento delle cose, Piero Pelù in Fiamme… e giù elencando, i Fast Animals and Slow Kids, La rappresentante di lista, Dente, Lamante, Max Collini, Irene Grandi…

Spiega Paolo: «Io e Luca (Baldini, il Roccia, ndr) abbiamo scritto ai vari artisti spiegando il progetto. Sembravamo Troisi e Benigni in Non ci resta che piangere! Solo Max Collini, essendo io un suo fan accanito, l’ho chiamato di persona: “Dai, ti prego, hai fatto un libro bellissimo insieme al tuo amico Arturo Bertoldi (Storie di Antifascismo senza retorica, ndr), ho letto che tua madre scriveva poesie, dovresti chiudere tu questo disco con una poesia della tua mamma”. Questo risvolto commovente, romantico, tra me e Collini mi sembra un episodio bello da raccontare: siamo due uomini “terricoli” e, nonostante questo, abbiamo avuto persino uno scambio poetico!».

Paolo, per te è un grande anno!
«Sono abbastanza stupefatto e, in tutta franchezza, non è che ci credo tanto! Preferisco badare all’Agenzia delle Entrate che mi tormenta…».

Il premio Tenco è sempre una grande soddisfazione per un artista, come l’aver ripreso Piccoli Fragilissimi Film, l’aver costruito un album ricco di collaborazioni… Sono andato a rivedermi i testi di quei brani e sono assolutamente attuali!
«In tutta sincerità, per me è un momento di grande stupefazione, non comprendo e non capisco nulla se non il fatto che, magari per certi versi, insieme ai miei compagni di allora e a quelli di adesso trattiamo cose che sono un po’ senza tempo, come la  ricerca degli esseri umani per capire il perché si trovano su questo pianeta… Mi vien da pensare che questi temi siano sempre attuali. Se ti dovessi dire che 20, 25 anni fa avevo coscienza di quello che scrivevo, ahimè non era così e, per fortuna, ancora adesso non ne ho. Questa è la vera costante, come un criceto, continuo a intestardirmi a scrivere dell’inutile e questa cosa nel tempo ha acquisito un suo valore. È come se avessi gettato sassi in un fiume per 25 anni. Ovviamente non ha un senso… o forse sì…».

Il senso di questo ritornare a un lavoro di vent’anni fa… Quale motivo ti ha spinto a farlo?
«Infatti non volevo, non mi era nemmeno venuto in mente! Poi i titolari dell’etichetta (Woodworm Publisching, ndr) mi hanno detto: “Sai che per noi questo disco è stato importante nella formazione del nostro sguardo?”. Non ci credevo, pensavo fossero dei perversi… Con grande franchezza tutta questa importanza non me la ricordavo 20 anni fa e non la ricordo nemmeno ora, poi i miei compagni che ogni tanto studiavano alcuni brani in sala prove o li proponevamo in concerto, mi hanno convinto: “Può essere divertente per noi e una palestra per cercare cose nuove, improvvisare su qualcosa che conosciamo come maturazione dell’ascolto ma che ancora non abbiamo affrontato seriamente”. Questa falange di maledetti mi ha convinto a mettere mano al disco. Il bello è che io non ho fatto niente, ho soltanto guardato e visto i miei compagni suonare splendidamente e tutte le persone che hanno partecipato, artisti incredibili che generosamente hanno gettato una cima a dei naufraghi, perché questo siamo, fare tutto loro, come volevano loro. Alla fine ho fatto dei cori e ascoltato i mixaggi. Per me è stato molto bello perché non ho controllato niente e tutti hanno fatto quel che hanno voluto. Utopicamente, un disco di gioia, il disco più bello di sempre di Paolo Benvegnù perché non c’è Paolo Benvegnù che canta».

Ma dai, perché ti butti giù così?
«Non mi butto giù, sono un baritono drammatico. Quando ascolti un disco di Paolo Benvegnù è come se tu ascolti il Don Giovanni di Mozart e senti parlare soltanto il padre che dice con voce profonda “Pentiti”. Capisci, in questa nuova riedizione c’è tanta leggerezza in più perché non ci sono io che da baritono drammatico dico: Pentiti!».

Quindi come vedi È inutile parlare d’amore tuo lavoro che ha vinto il Tenco?
«È un disco drammaticissimo. Mi ricordo qualche mese fa quando stavamo mixando gli strumentali, dicevo: “Madonna che belli che sono». E appena arrivava la voce pensavo: “Madonna perché non possiamo far diventare tutti i brani solo strumentali?”. All’interno di questo mio comportamento c’è una fantasia di sparizione e sai bene che questo dialogo con te ora esiste soltanto grazie alla legge Basaglia! È come per il premio Tenco: non se ne sono ancora accorti, quando si renderanno conto sono pronto a restituire il malloppo, retroattivamente. Ho del denaro da  parte che ancora l’Agenzia delle entrate non ha trovato, nascosto nei calzini…».

Ancora l’Agenzia delle Entrate! Esagerato…
«No, no, tutto quello che sto commettendo io foraggiato dai miei compagni è un clamoroso crimine contro la cultura italiana!».

Pensa te, io avevo colto il contrario!
«E ciò dovrebbe farti pensare… Lo sai che le parcelle per un’ora di analisi vanno dagli 80 ai 100 euro? Non posso prestarteli però, perché nei calzini non ho tutti questi soldi!».

Foto Antonio Viscido

Veniamo alle collaborazioni nel disco: Fresu, Tosca, Malika Ayane, Giovanni Truppi, Piero Pelù, Appino, La Rappresentante di Lista, Lamante, Irene Grandi e altri ancora…
«Fatto strano. Dopo aver nicchiato a lungo, quando sono entrato nell’idea di collaborare con i miei compagni per realizzare questo disco è venuta l’idea di alleggerirlo con artisti che collaborassero a questi pezzi. Uno dei miei desiderata da sempre era fare qualcosa con Paolo Fresu. Facendo girare la voce c’è stata una levata di scudi per me inspiegabile, se non nella  perversione dell’animo umano. Come posso pensare che Piero Pelù si ascoltasse vent’anni fa un disco come Piccoli Fragilissimi Film a casa sua? È impossibile, eppure è successo! Molti si sono stretti spontaneamente e hanno dato una carezza a un gruppo di persone che è legata al funambolismo e alla disperazione come fonte di vita. Per quello che dicevo prima, questi artisti sono come un transatlantico bellissimo che ha gettato le cime a dei naufraghi… noi ringraziamo e cerchiamo di scroccare sempre di più da quella cucina buonissima che si gusta sul transatlantico! Chiaro, sto esagerando! Nella realtà sono stati tutti generosissimi, entusiasti nel partecipare, fatto che mi ha molto sorpreso perché, anche se sono logorroico come sai, sono molto timido, chiuso. Questa volta mi sono aperto un po’ di più e c’è stata una risposta spontanea. Evidentemente negli ultimi 25, 30 anni non ho rotto troppo le scatole agli esseri umani, e ciò è bello».

Evidentemente hai lasciato tracce importanti…
«A Paolo Fresu abbiamo chiesto tramite il suo manager di potergli inviare il brano (Il Mare Verticale, ndr) con una nota: “Se ti piace, ti va di suonarci sopra quello che vuoi?”. Lui in due giorni ha rimandato il brano con il suo intervento. Così è stato un po’ per tutti. Con Malika c’è una frequentazione che va avanti da un po’ di tempo, perciò è stato più semplice. Così anche con Irene Grandi, ci conosciamo da vent’anni, con Piero ci siamo visti due o tre volte. Gli altri sono miei sodali di funambolismo, giriamo gli stessi peggiori bar di Caracas! Con Tosca è stata una sorpresa stupefacente, perché io non vorrei mai avere a che fare con me».

Seri professionisti!
«Quello che ho fatto è stato semplicemente cantare assieme a tutti, perciò ho dovuto imparare a cantare come Veronica (Lucchesi, ndr) de La Rappresentante di Lista e ti assicuro che è stato difficilissimo. Con Appino sono diventato pisano, mi sono persino cresciuti i baffi, sono quasi diventato bello! È stata una metamorfosi ogni volta che li ho accompagnati con la voce, ho imparato grazie a loro milioni di cose. Anche con Ermal Meta non è stato facile, lo conosco da tanto tempo, da quando aveva il gruppo che si chiamava La Fame di Camilla (band composta da Meta, Dino Rubino, Giovanni Colatorti e Lele Diana, ndr). Mai più vado a pensare che una persona impegnata come lui trovi non solo il tempo, ma la gioia e l’entusiasmo per mandare immediatamente il suo contributo. Ha cantato benissimo,  io ho cercato di farlo come lui. Anche qui non è facile perché lui è balcanico, sa cantare…».

Come hai contattato Tosca?
«Non osavo nemmeno sfiorare Tosca perché per me è sacra, per la ricerca che sta facendo da sempre. È stato Luca Baldini, il Roccia, bassista e vero motore del gruppo. L’ha conosciuta perché ha organizzato concerti in cui lei suonava e le ha chiesto se voleva partecipare al progetto. Lei ha risposto subito di sì e ha cantato Cerchi nell’acqua!».

Eh, conosco bene quel brano!
«Sei sicuro? Mi vergogno sempre di più, sono abituato a stare negli angoli, così mi sento responsabilizzato. Adesso ho uno zaino con dentro dei libri pesantissimi.Eo così contento, prima guardavo le foglie ora mi tocca leggere i libri…».

Ah ah ah! Avessero altri artisti la tua autoironia…
«Non lo è, credimi, mi piacerebbe fosse ironia. Ogni giorno mi sveglio a stretto contatto con me: sono insopportabilmente noioso. Quando vedo il mondo che gira, per me è un miracolo e io non riesco ad arrivare a quei movimenti anche inconsci. Perciò mi sembra veramente tutto un prodigio, anche nei momenti in cui non succedeva niente e non c’era possibilità di andare in giro a suonare… Quando ti dico che mi vergogno è vero. Anche il parlare con te stamattina appare troppo. Vorrei davvero avere un po’ di sicumera ma non ce la faccio».

Nei live ci saranno anche interventi degli artisti che hanno suonato e cantato nel disco?
«Stiamo cercando di usare il senso di colpa come arma, un classico del popolo italiano dapprima ancora dell’Unità d’Italia. Stiamo cercando di convincerli, alcuni hanno accettato, altri ci stanno pensando. Nella realtà stiamo provando i brani come li hanno fatti loro per essere pronti alla bisogna. Posso dirti che nelle sei date finora state fissate ci saranno degli ospiti, ma niente di più».

Per concludere: sei felice di come è venuto questo progetto?
«Sì, perché faccio i cori. Perdonami la battuta orrenda, ma io sono un… “coreggione”, devo “coreggiare”, quando faccio i cori sono al servizio della squadra e mi sento a mio agio, quando invece faccio il cantante punitivo faccio fatica».

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