Non ha mai derogato ai suoi principi, libertà, positività, ottimismo e nemmeno ha preso scorciatoie, tipo talent show «volevo per me una carriera solida, non essere una meteora», mi dice. Canta, balla, recita, ha iniziato a calcare i palchi internazionali con i musical, ne ha fatti tanti in giro per il mondo. Ha partecipato a due Eurovision per San Marino. Grazie al Contest è diventata ancora più famosa e stimata all’estero.
Durante il Covid, prima di partecipare all’Eurovision 2021 s’è inventata, con la direzione artistica di Luca Tommassini, il Freaky Trip to Rotterdam: Freaky! era il brano con cui era stata selezionata per il contest 2020 cancellato per la pandemia. Nello show che potete vedere qui reinterpreta alcune delle canzoni passate all’Eurovision negli anni. Grazie a quel progetto s’è guadagnata il moniker di Freaky Queen. L’anno scorso ha reinterpretato il vecchio successo di Gloria Gaynor I am what I am riportandolo in auge: «La Gaynor in tempi non sospetti cantava di identità, autenticità. L’abbiamo rispolverato perché è l’inno di un festival internazionale che non conoscevo, di cori LGBTQ+. L’anno scorso gli organizzatori hanno scelto Bologna, erano in Italia per la prima volta, e mi hanno chiesto di essere la madrina. Loro avevano questa canzone e abbiamo deciso di creare la cover della cover che poi ha dato anche il titolo al mio tour europeo. È stato un vero portafortuna!», racconta.
Con lei ho fatto una bella chiacchierata che vi riporto qui sotto, dove traspare tutta la sua determinazione, la sua ostinata positività, il suo essere italiana, eritrea e cittadina del mondo.
Senhit, come vivi il tuo lavoro da artista mainstream che poi così mainstream non è visto che spazi dal pop alla dance all’attivismo?
«Sono un mainstream molto strano, perché in Italia se non fai un determinato talent o qualsiasi altra competizione televisiva, non sei nessuno. Mi è stato proposto, ma non volevo bruciarmi, avevo voglia di lavorare in maniera più lenta e duratura. Sono contenta, ho sempre voluto fare questo lavoro, contrariamente a mio padre che, come tutti i genitori, avrebbe voluto una figlia diversa. Apro e chiudo parentesi: sono italiana di origine eritrea, figlia di genitori emigrati oltre 50 anni fa in una Bologna molto diversa da quella che è oggi, molto più accogliente. Ci hanno cresciuto ed educato secondo le tradizioni italiane, mantenendo anche la cultura d’origine. Ho sempre voluto cantare, mia mamma, una donna piena di hobby tra cui la musica, ha sempre cantato in casa, contagiandomi. Me la sto vivendo con molta determinazione».
Hai cominciato nei Musical, bella scuola!
«Sì parto dai musical, dal teatro e probabilmente, vista la situazione discografica attuale, potevo anche rimanerci, perché oggi è davvero molto, molto complicato. Nonostante tutto, da anni sono appoggiata e supportata dalla Panini, la multinazionale per eccellenza delle figurine di calcio, che ha deciso di investire sulla musica e ha trovato me come figura rappresentativa».
Ti avrei chiesto della Panini, anche perché tu hai vissuto per davvero il calcio giocato!
«Oltre alle figurine, la Panini fa tante altre cose e negli ultimi anni produce e distribuisce anche musica. Ha distribuito tanti artisti italiani come Jovanotti, Celentano, Mina, Ligabue. Per ora come produzione ha deciso di lavorare soltanto su di me. Io sono di Bologna, loro di Modena, ho un passato di calciatrice, sono sempre stata una super sportiva. E poi ho lavorato per la Disney (la Panini, da anni ha acquistato i diritti del magazine per ragazzi Topolino, ndr) grazie al musical Lion King con il ruolo da protagonista. Panini ha trovato in me il testimone ideale: la mia multietnicità, il fatto di essere un personaggio che non si arrende mai, positivo, secondo loro calza benissimo con la loro idea di azienda. Italiana che gira il mondo per piacere e per lavoro, che parla tante lingue, che ha un incarnato molto abbronzato… Abbiamo fatto centro entrambi».
Con Flo Rida (il rapper di Miami) hai cantato all’Eurovision per San Marino. Una cosa è sentire un rapper afroamericano che rappa un’altra il rap italiano, oggi trionfo dell’autotune…
«Che non si può sentire! Eurovision ci ha dato una grande possibilità o ce la giocavamo in quella maniera oppure nulla! In Flo Rida ho trovato una grande collaborazione sia a livello artistico sia umano. Questo passaggio televisivo mi ha permesso di rendermi tanto visibile nel mondo, aprendomi un grande mercato. Se già lavoravo tanto all’estero, sono riuscita ad andare ovunque, compresa la Colombia, da dove sono ritornata recentemente per il lancio dell’ultimo singolo Colombia».
Il fatto che il mercato ti imponga tanti singoli come ti fa sentire? Tu hai fatto tre album se non sbaglio…
«Ti do un’anteprima. Dopo un’enormità di singoli mi sono anche un po’ scocciata. Quindi usciremo con un album a ottobre, che a livello strategico ha poco utilizzo, visto che la musica adesso va così rapida, però è importante poter impreziosirsi con qualcosa nelle mani da toccare e raccontare. Abbiamo deciso, parlo al plurale perché è un successo di tutto il team, di uscire con quest’album sul quale dobbiamo lavorarci ancora molto».
Sei sensibile a molti temi sociali, penso alla diversità, alla libertà d’espressione. Che cosa è cambiato secondo te in Italia?
«Sono cambiate parecchie cose. Ti parlo della parte culturale e artistica. Sicuramente c’è meno attenzione su questi aspetti. La musica, ma anche l’arte in generale, è una disciplina utile, lo ha dimostrato il fatto che ha contribuito a salvarci dall’isolamento del Covid. Secondo me non c’è abbastanza merito per l’arte, non ci sono aiuti sufficienti ed è un grande peccato. Sono propositiva, sono convinta che chi fa lo Stato non sia tanto il governo di turno ma il popolo. Poi magari sono ingenua. Mi nutro di concerti che vado a vedere pagandomi i biglietti perché la musica è un lavoro che va retribuito. Ci siamo un po’ fermati, e parlo al plurale perché sono fiera di essere italiana. Secondo me a un certo punto “il popolo” in qualche maniera si sveglierà e si ribellerà chiedendo più arte, cultura, spazi. Sono ottimista».
Sei una cittadina del mondo, ti porti nel cuore la tua parte d’Africa e la tua parte d’Europa. Come te, tanti. Non ha senso guardare al proprio orticello…
«Mi trovo d’accordo. Ho sempre avuto la fortuna e il privilegio di poter fare quello che mi piace, il mio lavoro mi porta spesso lontano. Ma lontano non vuol dire che non ci siano realtà diverse da un’Italia che rimane il mio Paese, che mi ha cresciuta e che mi ha dato tantissime possibilità. Però sì, sicuramente è un paese un pochino più ottuso, spaventato. Sono stata sempre tanto fortunata, non ho mai avuto disagi o problemi. Ancora adesso quando entro nei negozi mi capita che mi chiedano se parlo italiano, ma non è una cosa che mi offende. Vedo solo un po’ di diffidenza e paura. Non so se il Covid ci abbia spaventati, ma osservo che tutti sono molto più arrabbiati. E questo succede anche in Spagna, in Belgio, ovunque. In Italia si respira un’aria un po’ più pesante, ma ho tanta fiducia nella gente, sono convita che da qualche parte arriverà anche la luce. Lo vivo tutti i giorni nella mia Bologna che nonostante tutto rimane una delle città italiane più accoglienti e allegre, anche se l’attuale amministrazione fa delle scelte opinabili».
Senhit cosa significa avere un’identità?
«Faccio fatica a pensare a un’identità intesa come un genere o un’etichetta. La stessa cosa cerco di riportarla anche nella mia musica. L’importante per me è rimanere autentici, fortunatamente la Panini ha sempre sposato questo pensiero. Vado controcorrente e cerco di fare quello che più mi appassiona e mi piace».
Che musica ascolti?
«Tutta, faccio prima a dirti quella che non ascolto. Stamattina mi sono svegliata con Pavarotti, che tra l’altro ho conosciuto perché ho lavorato per l’edizione di Rent, musical portato in Italia da Nicoletta Mantovani. Non ascolto il Metal ma solo perché non lo capisco. Ascolto anche musica religiosa perché mia madre è molto credente e ogni tanto mi passa dei link… sono una spugna, assorbo tutto e questo me lo porto poi sul lavoro».
Se un giorno dovessi cambiare genere musicale, dove ti vedresti?
«Mi piacerebbe provare a fare un disco più acustico, più intimo, magari cantato in italiano. Sono sempre a “palla di fuoco” con pezzi super pop. Mi è capitato di cantare in acustico durante qualche concerto, mi fa sentire bene e al pubblico piace».