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Tre dischi “new jazz” per il finesettimana

Parliamo di jazz. Mi ha colpito il titolo di un disco uscito a fine giugno firmato da Berlioz: Jazz is for ordinary people, il jazz è per persone comuni. Considerato da anni una musica di nicchia, la vulgata la passa come musica d’élite perché “volutamente complessa”, viene definito dall’artista in questione per quello che è, un genere ottenuto miscelando ritmi afro, cultura popolare e canti religiosi con ampie tracce di tradizione erudita europea. 

Sempre con un occhio al “new jazz” o jazz contemporaneo che si voglia chiamare, il 25 agosto, sono arrivati sugli scaffali digitali e fisici altri due lavori molto diversi tra loro che, uniti al primo, mostrano un panorama significativo delle nuove tendenze del genere. 

1 – Jazz is for Ordinary People – Berlioz – data di pubblicazione: 23 giugno 2023
Di Berlioz (nome d’arte di Jasper Edward Attlee) si sa ben poco, residente a Londra, dj, musicista, produttore riservato quanto eclettico. Il suo Ep, cinque brani per appena 15 minuti d’ascolto, che ha macinato milioni di ascolti, è un assaggio del suo essere “jazz”. Inserti di elettronica, quasi chillout, quella che si ascolta la notte su Radiomontecarlo per capirci, dove raffinati fraseggi di tastiere, sax, basso e persino sitar raccontano su basi house un’altra possibile strada per il jazz. Nel brano iniziale che dà il titolo all’Ep una voce femminile, quella della moglie di Berlioz, Joycelyn Attlee, dichiara l’intento dell’artista: Jazz is for ordinary people, jazz is ordinary People… Un gran bel lavoro, grazie anche al fondamentale contributo degli altri musicisti che formano un inossidabile quartetto, Robin Phillips al piano Rhodes e tastiere, Jihad Darwish al basso e sitar e Sam Miles al sax contralto.

2 – You Know I Care – Tenderlonious – data di pubblicazione: 25 agosto
Rimanendo nel pescoso fiume del jazz contemporaneo inglese ecco un altro lavoro che merita grande attenzione. Ed Cawthorne, in arte Tenderlonious, è un flautista prodigioso e un virtuoso polistrumentista. Lo dimostra l’album che ha appena pubblicato, un omaggio alle origini della sua formazione jazzistica: You Know I Care. È il titolo di un brano del 1966 firmato dal sassofonista Joe Henderson. In questo disco con Tenderlonious suona anche Tim Carnegie, il batterista del quartetto Ruby Rushtone dove Ed e Tim suonano con il pianista e fisarmonicista Aidan Sheperd e il trombettista Nick Walters. I sei brani (per 42 minuti d’ascolto) sono confezionati da Tenderlonious con la reverenza e il ringraziamento per quello che il musicista è oggi. Poor Eric (brano di Jackie McLean dedicato a Eric Dolphy) è una triste ballata dove Tenderlonious improvvisa con pathos e sicurezza. On The Nile, brano d’apertura del disco, è un ingresso maestoso all’album.

3 – Fly or Die, Fly or Die, Fly or Die ((world war)) – Jaimie Branch – data di pubblicazione: 25 agosto 
Jaimie Branch era una trombettista con base a New York, morta a 39 anni per cause sconosciute (si pensa a una dose sbagliata) il 22 agosto dello scorso anno. L’album, uscito postumo, è il terzo di una trilogia, preceduto da Fly or Die del 2017 e FLY or DIE II: birds dogs of paradise del 2019. Fly or Die era anche il nome del suo quartetto. Musicista prolifica, vantava molte collaborazioni, veniva dal jazz come formazione, ma la sua musica era eclettica, aperta e curiosa alle contaminazioni. Questo terzo disco costruito in tutte le sue parti dai musicisti del quartetto seguendo il più possibile gli appunti di composizione apre con  Aurora Rising, una fanfara preceduta da un organo maestoso, degno inizio di una festa. Dentro c’è di tutto, dal Calypso al prog, persino la sua voce, più rock che jazz, entra in questa sarabanda di suoni con una tromba che a tratti ricorda quella di Christian Scott aTunde Adjuah. In Burning Grey (9 minuti e 11 secondi di brano) Jaimie definisce il suo progetto Fly or Die con un accorato Don’t forget to fight (Non scordarti di combattere) che suona come una litania laica. Nella apparentemente caotica esposizione dei brani c’è posto anche per un pezzo di Americana, The Mountain, rielaborazione di  Comin’ Down brano della band rock The Meet Puppets. Solo tromba e contrabbasso – suonato da Jason Ajemian  con le voci “acerbe” dei due musicisti. Il risultato? Una serata attorno al fuoco, struggente  e poetica. 

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