A fine pomeriggio, nel mio quartiere, dopo lunghe giornate dove a malapena si avverte il pianto di un bimbo, l’abbaiare di un cane e qualche macchina che passa “in sordina”, la gente si risveglia. Complici le belle giornate e le finestre aperte, quello che senti di più è la musica. C’è una (un) pianista che alle 18 in punto e fino alle 20 si dedica alle scale, riscalda le mani, sempre più veloci, poi passa allo studio del pezzo, rigo per rigo, nota per nota, ripetuto centinaia di volte fino a che il fraseggio non risulta fluido. Da un altro palazzo, contemporaneamente, non so se per ripicca, qualcuno aziona un trapano: rumore allo stato puro, mentre due palazzi dopo, un (aspriante?) dj costruisce la sua musica, l’eco ritmico varia a seconda delle emozioni del suddetto o della rottura di “cabasisi”, per dirla alla Montalbano, tra un beat e la disperata voglia di tornare a “suonare” in discoteca (apro parentesi e preannuncio il tema di uno dei prossimi post: ma il dj compone musica e, quindi, è da considerarsi un musicista, oppure è un assemblatore seriale di beat, in cerca di possibili alternative all’originale? La risposta, credetemi, non è così scontata…). Più in là un ritmo latino si sovrappone pompando una caliente rumba e, da terrazzi più remoti, ecco che si percepisce Ghali in una delle sue classiche trappate… Prima della quarantena mi avrebbe fatto saltare i nervi, oggi sono un toccasana, le note suonate ripetutamente sono mantra che fanno viaggiare il pensiero, il trapano che si unisce alle basi del dj il ritmo della sera. Come si cambia dopo due mesi di lockdown…
La primavera si risveglia in musica, e mi viene in mente la leggerezza e l’allegria de Le Carnaval des Animaux, del compositore francese, parigino, per precisione, Camille Saint-Saëns. Il maestro l’aveva concepito per due pianoforti e una piccola orchestra composta da flauto, ottavino, clarinetto in Si bemolle e Do, glockenspiel, xilofono e quintetto d’archi, come indicano puntigliosamente gli amanti dell’artista. L’abbiamo vista ed ascoltata in una particolare esecuzione qualche giorno fa, quella pensata da grandi musicisti – tra questi, il violoncellista Yo Yo Ma, il violinista Renaud Capuçon, i giovani e brillanti violoncellisti Sheku Kanneh-Mason e l’iraniano Kian Soltani, il clarinettista austriaco Andreas Ottensamer e il patriarca dei violinisti del secondo Novecento, Gérard Caussé.
Vi sto raccontando di quello che mi accade pressocché ogni giorno per introdurre una riflessione. La musica ci accompagna in ogni nostro atto quotidiano e, unita al rumore, può risultare stordente ma anche liberatoria: anche quest’ultimo, caos acustico, overdose di decibel, ha in fondo un suo ritmo, anarchico e selvaggio. Questo ensemble non sempre gentile all’udito può essere assimilabile ai lavori di musicisti che da decenni portano consapevolmente all’estremo il senso della percezione melodica. Vi propongo – e non mandatemi a quel paese – un autore che va ascoltato più e più volte, ovviamente se avete voglia di allenare il senso musicale che è chiuso in voi senza controindicazioni per la salute!