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Gino Marielli: Tazenda, Murales e il mainstream

Gino Marielli

Ricordando Murales. I Tazenda, Gino Marielli, Gigi Camedda e Nicola Nite, quest’anno hanno scelto l’album pubblicato il primo marzo del 1991 come tema del loro live – che stanno portando in giro per l’Italia e l’Europa dal 20 aprile scorso – disco dirimente per la band e, aggiungo, per la musica italiana.

Sono brani che hanno fatto storia, vedi Mamoiada, Desvelos, Nanneddu, Disamparados, quest’ultimo tradotto e portato a Sanremo nel ’91 con il titolo Spunta la luna dal monte assieme a Pierangelo Bertoli. Sul palco oltre a Gino, Gigi e Nicola, ci sono Massimo Canu al basso, Massimo Cossu alle chitarre, Paolo Erre alle tastiere e Luca Folino alla batteria.

Murales come tour ma anche come manifesto del lungo viaggio artistico della band. La seconda parte del concerto, infatti, racconta il percorso umano e musicale del gruppo, le collaborazioni con altri musicisti e l’omaggio, diventato ormai un classico, ad Andrea Parodi attraverso un brano storico saulese dell’inizio Novecento riadattato da Marielli oltre trent’anni fa,  No photo reposare. Il tour è l’occasione per fare una chiacchierata – tra una data e l’altra – con Gino Marielli.

Partiamo dall’inizio di questa bella e lunga storia: come siete finiti nell’ethno-rock?
«Cè un aneddoto perfetto che mi piace raccontare sempre. Non eravamo dei rockettari, quelli che facevano rock duro, io venivo più dal prog, ascoltavo gli ELP, gli Yes, i Genesis. Nei primi anni Ottanta era arrivata in Italia una bella ondata d’Inghilterra dove tutto s’era trasformato in un pop di spessore, vedi i Talk Talk, i Duran Duran, gli Spandau Ballet, anche la New Wave più scura era roba buona, nonostante ai tempi ci sembrasse mondezza. Ci siamo addentrati in quel pop lì portandoci dietro il nostro bagaglio di rock-prog. Volevamo cantare in inglese perché non ci piaceva l’italiano, non ci suonava bene, o forse non eravamo bravi a scrivere i testi! Anche perché allora in italia c’erano i cantautori e la musica leggera del periodo non è che fosse così “alta”. Quindi avevamo preparato un disco in inglese che… non è mai uscito. 

Perché?
Perché quando l’abbiamo finito non avevamo i soldi per pagare lo studio dove ultimarlo. Ci aveva prodotto un ricco signore belga che poi se n’è andato dicendoci che da lì in avanti dovevamo fare da soli. Il padrone dello studio ci disse: “Potete venire qui, non voglio niente, voi però mi fate un “nastrino” (tradotto, sarebbe una musicassetta) tutta in sardo, visto che lui produceva musica regionale. Abbiamo borbottato, sostenendo che queste cose non le sapevamo fare… eravamo dei provinciali, la musica sarda la conoscevamo ma la consideravamo alla stregua del liscio per un rockettaro emiliano. Ci diede lo studio, bello, professionale, concludemmo il lavoro in inglese e preparammo il nastro in sardo con quattro brani tradizionali e altrettanti inediti composti al volo. 

I Tazenda: Gigi Camedda, Nicola Nite e Gino Marielli

Quindi avete portato in giro la demo per case discografiche?
Quando Andrea (Parodi, ndr) riuscì a ottenere un appuntamento con Mara Maionchi alla Ricordi nell’86 – o forse era l’87 – partimmo alla volta di Milano. Le facemmo ascoltare il disco in inglese e lei ci diss: “Bello, bravi, ma avete qualcosa d’altro?”. Una brutta domanda! Andrea che era uno pronto le rispose: “Abbiamo questo!”. E noi a pensare, “No! Cosa fa?”. “È una cosa che abbiamo fatto in sardo. Mettemmo  No photo reposare. Lei sollevò le antenne da unicorno e disse: “Adesso voi tornate a casa e mischiate queste due cose”. Da brividi… ci diede il compito con delle indicazioni pazzesche: “Dovete essere gli U2 con le launeddas e le fisarmoniche diatoniche”! Poi ci portò in una stanza, ci fece ascoltare i Pogues e ci diede i biglietti di Rattle and Hum, il documentario sugli U2, raccomandandoci di andare a vederlo. Tornammo a casa e facemmo il compito! Fin dal primo pezzo abbiamo capito che era uno spasso, non si trattava di un lavoro da filologo, ma di prendere le fisarmoniche dalle musicassette sarde, infilarle nell’Akai 900 e rovesciarle, usare le launeddas registrate e inserirle con la chitarra elettrica… un lavoro di divertimento. Così è nato questo sound. Abbiamo capito quanto eravamo sardi senza saperlo».

Ad anni di distanza da quest’avventura c’è stata la vicenda di Andrea (se n’è andato per affrontare la carriera solista, poi è tornato e quindi è morto), poi è arrivata la voce femminile, quindi Beppe Dettori, quindi Nicola… Cosa mi puoi dire di tutta questa storia?
«Faccio un salto nella filosofia orientale e nelle neuroscenze moderne. Ho la sensazione che non abbiamo proprio libero arbitrio, le cose accadono, tutto succede perché… succede e basta. Quando ci siamo trovati senza cantante, abbiamo iniziato a leggere le storie di altre band, i Matia Bazar, i Pooh, i Police, i Genesis, tutte quelle che avevano perso un cantante, per vedere cosa avevano fatto. C’era chi aveva trovato il sostituto nella band stessa come i Genesis che scoprirono di avere una pepita d’oro dietro (il batterista Phil Collins); chi era stato costretto a chiudere, come i Police, perché ti viene a mancare quello che fa tutto, il più bello, il più alto, il più talentuoso. Le conclusioni erano che non esisteva un solo modo per risolvere il problema. Abbiamo attraversato il “proviamoci noi”, il “troviamo una ragazza”, finché sono arrivate le opportunità, vedi Domo Mia con Eros Ramazzotti, che cadeva proprio nel momento in cui era appena arrivato Beppe Dettori (è andato bene con noi anche perché è partito con questo prompt fantastico!), o Nicola (Nite, ndr) con Cuore e Vento. Si era appena unito a noi quando è arrivata la telefonata di Kekko (Silvestre, frontman dei Modà, ndr) che ci proponeva questo pezzo da… Tazenda. Conclusioni: ho paura che non ci sia niente da fare, tutto si costruisce da solo. Prima ti ho parlato di neuroscienza: gli esperti dicono che le decisioni che prendiamo sono state prese già sette secondi prima dal nostro cervello. Quindi, chi le ha prese?».

Però siete arrivati a oggi… Dipende anche da come si vive la band, il successo…
«Gigi e io, “i senatori” del gruppo, abbiamo un’usanza che aveva anche Battisti. Ogni due settimane, entriamo in rete e ci ascoltiamo le prime dieci canzoni in classifica in America e in Inghilterra, quelle italiane le sentiamo in radio, per capire cosa sta succedendo. Ed è chiaro che c’è un conflitto, la nostra musica risulta un po’ vecchia rispetto a quella di The Weeknd, Ariana Grande o Drake, però ci sentiamo potenzialmente capaci di poter fare anche noi quelle cose là. Ma c’è un codice morale che ti dice che non le puoi né le devi fare. Come un ottantenne che si veste da teenager (cosa che peraltro facciamo, siamo autorizzati visto che sul palco fai quello che vuoi!). Il conflitto si crea quando ci spingiamo verso un rinnovamento a tutti i costi, perché vorremmo avere dalla nostra le nuove generazioni. Ai nostri concerti abbiamo tre generazioni, di pubblico e sono tante. C’è un signore di Cagliari che veniva a sentirci negli anni Novanta col figlio in braccio e ora viene anche col nipotino, tutti e tre con le magliette e i gadget della band. 

Una bella soddisfazione!
Sperare di voler piacere a un teenager di 15, 16 anni è impossibile, ma soprattutto è sbagliato, perché noi come band abbiamo raggiunto positivamente un punto di non ritorno, in cui forse quello che facciamo non ha più importanza, vale invece quello che siamo, la storia che ci portiamo dietro. Prendi i Nomadi: cosa ti interessa se hanno appena pubblicato un singolo di successo! Vai al concerto, ti prendi una birra e quando arriva Io Vagabondo te la canti e te la godi. Non è richiesto che band come queste facciano cose nuove, e se le facessero, tanto di cappello, ma se non pubblicano un disco va bene lo stesso. È quello che abbiamo capito di noi. Ma non ci siamo arresi, perché un altro Ko vorremmo farlo! Lo fa persino Tyson!».

Tornando al tour: quali sono le vostre aspettative?
Non ne abbiamo, puntiamo molto sul tour e, come sempre abbiamo fatto, non lo viviamo come una routine. Per preparalo ci siamo chiusi in sala prove, abbiamo pensato alle luci, agli effetti, ai video che passano sul palco, al contenuto. Ci aspettiamo che la valanga si gonfi, per nutrire il nostro ego, ma è un ego positivo che ci dà la carica per poi metterci a lavorare su cose nuove quest’inverno».

Situazione musica italiana: c’è il mainstream un po’ sfiancato e l’Indie che sta trovando nuova linfa. Cosa mi dici?
«Che la musica Indie, o “alternativa”, non può restare tale per sempre. Perché se resta, da un certo punto di vista ha fallito. Deve fare un passo avanti, e quando lo fa non è più alternativa. Prendi i Red Hot Chilli Peppers, nati alternativi si sono spaventati per il successo, come i Nirvana. La musica italiana Indie, quella del primo Mannarino, ha prodotto una scuola molto bella e importante di cantautori romani. Ma se poi te li ritrovi a Sanremo, non sono più indie. Rmanere in una nicchia per scelta non va bene, a meno che tu non sia Nick Cave! Il rap da una parte ha creato una nicchia ancora più profonda fatta di nomi sconosciuti, impossibili da memorizzare, però dall’altra li ha portati al successo. Prendi Calcutta, è un ragazzo che si può permettere di andare davanti a grande platee. Quindi… Indie anche no. Detto questo il mainstream oggi è Angelina Mango, è Annalisa. Te lo dico con gli occhi del produttore. L’unica cosa che mi dispiace, ma probabilmente se fossi al loro posto farei uguale a loro, quindi lo dico da uno comodamente seduto sul divano, Angelina Mango si vede da come canta che ha un talento smisurato. Mi dispiace che non abbia il tempo di crescere, nella sua cameretta, con la sua chitarra a scrivere con calma canzoni. Poteva passare anche lei in un sentiero più Indie e poi crescere e avere successo. Il fatto che l’abbia avuto con due canzoni temo che la faccia entrare nel tunnel del “cerchiamo il singolo di successo”. Che fa diventare ricchi ma che ci priva del gusto di sognare su un artista. Apprezzo quando vedo, anche nel calcio, un giovane talento, mi piacerebbe che facesse carriera in grandi squadre e non andasse subito a diventar ricco in Arabia! Questi ragazzi oggi hanno opportunità economiche e di ego che non vogliono perdere. Però, come artisti, si stanno perdendo la libertà di svegliarsi la mattina e fare quello che faceva David Bowie, artista mainstream che poteva permettersi di fare tre dischi come voleva e che  magari nessuno si filava!».

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