Musicabile

Sanremo, perché criticarlo?

È iniziato il Festival. Come ogni anno si officia il sacro rito di metà inverno degli italiani: una kermesse che si autocelebra. La Canzone Italiana è il contorno, servito da San Algoritmo.

Ieri sera nel mio quartiere sembrava ci fosse il coprifuoco, nessuno in giro tranne qualche umano con quadrupede al seguito per le esigenze fisiologiche di quest’ultimo. I dati appena diffusi dicono che ha avuto una media di ascolti di 10 milioni 561mila telespettatori con il 65.1% di share. Ho visto il Festival, perché non puoi criticare, discutere, giudicare se non vedi. E quello che ho visto è uno show rodato – in realtà un po’ “stanchino” per dirla alla Forrest Gump – ben fatto (e ci mancherebbe, mamma Rai si gioca una buona fetta di introiti), e trenta canzoni che sono la prova evidente che la musica, tranne rarissime eccezioni, non è di casa all’Ariston.

Quindi: dobbiamo smetterla di criticare la canzoni di Sanremo perché parliamo di due “oggetti” diversi. Uno è la musica, l’altro l’intrattenimento. Lo showbiz impone le sue regole rigide: siparietti, parole parole e parole, pubblicità, canzone, parole parole e parole, siparietto, altra canzone, momento di riflessione, il ricordo velocissimo di Roberto Rossi, discografico, direttore d’orchestra durato lo spazio di un secondo con l’orchestra che tenta di alzarsi in piedi per rendergli omaggio mentre Amadeus tira dritto verso un altro collegamento (pure il dolore di una perdita ha i millesimi contati).

Nell’intrattenimento c’è anche la politica che la nuova direzione Rai voleva evitare. Sono entrati i trattori, ha fatto il suo ingresso la guerra israelo-Hamas con Dargen D’Amico che chiede – come non essere d’accordo! – di smetterla d’ammazzare. Lo spettacolo va avanti con il ricordo di Giogiò, giovane musicista ucciso per un motorino posteggiato male a Napoli (non si preoccupa di rovistare nei sentimenti di una madre che ha perso un figlio).C’è posto anche per la presenza lampo della sciatrice Federica Brignone (subito criticata per non aver salutato la Goggia infortunata… le rivalità fanno sempre audience!), e per le “necessarie” gag scontate e prevedibili, vedi quella di Ibra-Ama o Mengoni-Ama. Fiorello è una garanzia, svetta comunque (ma lì siamo su altri pianeti)… Tutto studiato per ottenere un unico risultato: audience e soldi.

Siamo all’ossimoro: al Festival della Canzone Italiana la canzone italiana interessa poco. Perché una bella canzone non si misura nei parametri della composizione, della creatività, dei testi ma in base agli algoritmi. Così si dispensano dischi di platino e d’oro come se piovesse perché contano solo i milioni di streaming ottenuti da una serrata presenza sui social di artisti presunti tali. Un cane che si morde la coda. Amadeus, direttore artistico, ieri sera presentando i concorrenti lo ha detto più volte. Onorati di averli sul palco, reduci da ascolti streaming a “enne” zeri. Numeri dati per impressionare e portare nell’Olimpo imperfetti sconosciuti.

Ieri ho ascoltato il commento caustico di quel brontolone di Gino Paoli intervistato a Tintoria, il podcast di Daniele Tinti e Stefano Rapone prodotto da The Comedy Club:

Una volta era il Festival della canzone, non era neanche importante chi la cantasse, poi le case discografiche si sono accorte del potere rituale per l’Italia e adesso fanno il prodotto finito sperando che abbia una promozione. Da lì la tv si accorge che lo spettacolo di Sanremo funziona, arriva non solo in Italia ma anche fuori, e allora si appropria di Sanremo e lo fa diventare lo squallido spettacolo che è adesso.

Come dargli torto?

Manca la bella canzone, che non significa quella alla Luigi Tenco! Una bella canzone nei canoni del pop e del cantautorato attuale e non mainstream, una canzone che osi, che proponga elementi di creatività e complessità in un periodo in cui tutto è leggerezza, populismo, fiera ignoranza allo stato brado. Basta un beat uguale per tutti, un atotune, un yeah, uhm, ah un borbottio strascicato in napoletano per avere il diritto di salire su quel palco? Probabilmente sì, perché quel palco non è più quello della canzone italiana, ma da anni ormai.

Noi ci ostiniamo a sperare che qualcosa cambi. In realtà in questa visione gattopardesca e ripetitiva del Festival non ha molta importanza chi vincerà la 74esima edizione. L’importante è dare voti a tutti, a come lui/lei erano vestiti, a chi è stato più performante, alle gaffe di Amadeus, ai fiori, agli ospiti… Per citare Renato Zero: Il carrozzone va avanti da sé/ Con le regine, i suoi fanti, i suoi re/ Ridi, buffone, per scaramanzia/ Così la morte va via

Exit mobile version