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L’assalto a Capitol Hill: era tutto scontato…

Sono passati solo alcuni giorni dall’assalto al Campidoglio da parte dei seguaci di Donald Trump. Scene che mai avremmo pensato di vedere e il cui effetto porta sviluppi quotidiani. There’s a Riot Goin’ On! C’è una rivolta in corso, avrebbero cantato gli Sly & The Family Stone dall’omonimo disco funk/soul del 1971 (bellissimo e da riascoltare). Lì, ovviamente le rivolte riguardavano la nuova musica, il fatto che band e artisti afroamericani stessero raggiungendo vendite di dischi inimmaginabili, la rivendicazione tangibile delle lotte razziali, e del diritto all’uguaglianza a alla libertà… insomma questioni di sostanza, barriere che ancora oggi la società americana non ha risolto e che quegli incendiari untori della democrazia, in azione a Capitol Hill, confermano che è ben lontana dal risolverle.

Le scene del tentato golpe da parte di un presidente in carica – perché di questo si è trattato – più o meno agevolato da uomini delle forze dell’ordine (il che suona ancora più sinistro) dimostra che negli States c’è qualcosa che non va, e da anni. Cantava Bob Dylan quasi mezzo secolo fa in Shelter from the Storme (da Blood On The Trucks, 1975): Now there’s a wall between us, somethin’ there’s been lost/ I took too much for granted, I got my signals crossed/ Just to think that it all began on an uneventful morn (Ora c’è un muro tra di noi, qualcosa è andato perduto. Ho dato troppo per scontato, ho male interpretato i segnali. E pensare che tutto ha avuto inizio in una tranquilla mattina

Ed è proprio qui il punto: come s’è arrivati a tutto questo, quando la “mattina tranquilla” s’è trasformata in un incubo che ha sconvolto l’America? Da portatori di valori democratici, gli Stati Uniti d’America sono diventati in poche ore l’oggetto di scherno di tutti i dittatorelli dal pungo di ferro in giro per il mondo, dalla Turchia, all’Iran, dalla Corea del Nord, alla Russia di Putin. Dove ha fallito la democrazia? Probabilmente nel rifiutarsi di ascoltare o far finta di non vedere, cosa stava cambiando nel tessuto sociale e nel continuare a inseguire quel dio dollaro che è l’unica vera religione praticata in Usa.

Questi segnali di disgregazione democratica li avevano lanciati, guarda caso, molti artisti in anni non sospetti. Chi pratica l’Arte vede dove sta andando il mondo meglio di chiunque altro. Vi ricordate quel film del 1997 di Joe Dante dal titolo La seconda Guerra Civile Americana? Il copione, un politico populista, anti immigrati, che scatena l’ultra destra americana, è lo stesso che abbiamo visto negli ultimi quattro anni di gestione Trump. Esattamente questo. Bruce Springsteen, nel 2017, prima che Trump si insediasse formalmente alla Casa Bianca il 20 gennaio di quell’anno, in alcune interviste espresse i suoi dubbi sull’allora nuovo presidente. La campagna di Trump aveva scatenato «bigottismo, razzismo, intolleranza», sosteneva il Boss, «difficile da sedare ora che lui sarà alla Casa Bianca… Le persone si sentono in diritto di parlare e comportarsi in modi che prima erano considerati antiamericani e non americani… Questo è ciò a cui (Trump) fa appello. E i miei timori sono che queste convinzioni trovino spazio nella società civile». Certo, anche il Boss aveva ragione. Come la jazzista Terri Lyne Carrington che con il suo gruppo, i Social Science, aveva composto un disco, Waiting Game, pensando proprio alle conseguenze dell’elezione di Trump (ascoltate Trapped In the American Dream)…

I’m sick and tired of hearing things,/ From uptight, short sighted, narrow minded hypocrites,/ All I want is the truth,/ Just gimme some truth,/ I’ve had enough of reading things,/ By neurotic, psychotic, pig headed politicians,/ All I want is the truth,/ Just give us the truth… Sono nauseato e stanco di ascoltare parole da ipocriti conservatori, miopi e ottusi. Tutto quello che voglio è la verità. Dammi solo un po’ di verità. Ne ho abbastanza di leggere affermazioni di politici nevrotici, psicotici e testardi. Tutto quello che voglio è la verità. Dacci solo la verità… cantava John Lennon nel 1971 in Gimme Some Truth (dall’album Imagine).

Ed è quello che sta chiedendo buona parte della popolazione americana. Sono convinto che anche i moderati che hanno votato The Donald perché storicamente legati ai repubblicani se lo stiano domandando. L’escalation di quest’uomo livoroso e fuori dalla realtà, che più di qualcuno ha definito criminale nell’atteggiamento, ha portato l’America e il mondo ad assistere a un copione che tutti già conoscevano e in un certo modo si aspettavano, ma che nessuno ha davvero tentato di fermare. Tra le truppe d’assalto nel giorno dell’”epifania” di Joe Biden, oltre allo sciamano Jake Angeli – poi identificato con il suo vero nome, Jacob Chansley, non un provocatore mandato da Biden ma un fervente seguace di Trump – c’era anche un ex tenente colonnello texano dell’Air Force, armato di tutto punto, Larry Rendall Brock, Jr., che, come riporta The New Yorker, ha servito a lungo il suo Paese e, una volta in pensione, s’è radicalizzato grazie ai social, a Trump, alle teorie cospirazioniste di QAnon e, probabilemente, alla rabbia scomposta di Steve Bannon.

Mentre guardavo quelle scene in televisione mi sono venuti in mente i Ramones e il primo brano del loro primo album del 1976, Blitzkrieg Bop, Hey ho, let’s go! Hey ho, let’s go! Hey ho, let’s go! Hey ho, let’s go!, una consona colonna sonora. Ma anche l’inno americano (The Star-Bangled Banner) suonato da Jimi Hendrix al festival di Woodstock nel 1969, trasformato, grazie a una chitarra distorta e gemente, in una protesta contro la guerra in Vietnam. Allora Jimi simulava le bombe che cadevano, le esplosioni, la violenza democratica… quel mercoledì avrebbero potuto scandire le scene dei vetri delle finestre di Capitol Hill che si sbriciolavano sotto i colpi americani e l’arroganza dei trumpisti seduti, gambe sulla scrivania, sulle poltrone di Nancy Pelosi, Speaker della Camera, e di Mike Pence, presidente del Senato.

La ricostruzione su queste macerie fumanti sarà molto dura. Gli spazi e le regole democratiche sono stati violati, e da tempo. Tom Morello, musicista, anche chitarrista dei Rage Against The Machine – a proposito, ascoltate Wake UpWake up! Wake up! Wake up! Wake up! How long? Not long, cause what you reap is what you sow (Svegliati! Svegliati! Svegliati! Svegliati! Per quanto? Non troppo, perché quello che raccogli è quello che semini…) – in un tweet metteva a confronto lo schieramento militare davanti a Capitol Hill durante le manifestazione dei Black Lives Matter, un muro invalicabile, e quello dei trumpisti delusi, quattro poliziotti che hanno aperto i varchi e si son fatti persino i selfie con quelli che Biden ha definito terroristi. Cortocircuito. C’è davvero un cortocircuito. Che deve essere riparato al più presto, se l’America vuole continuare a essere il Paese del possibile.

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