Musica e Idoli/ Non avrai altra star al di fuori di me!

Prima o poi ci si doveva arrivare. Quando si parla di musica, autori, generi, rockstar, idoli, si toccano tasti sensibili. E te ne accorgi dai commenti ai post che pubblichi sui social. Il fattore psicologico conta molto. Mi sono riproposto di intervistare uno psicologo che mi (ci) possa raccontare quali sono le dinamiche mentali che si attivano in questi casi. Lo farò, devo trovare la giusta materia prima…

Dunque, per chi venera un artista, questo è la sua leggenda, il suo idolo e, soprattutto, una leggenda e un idolo che non avrà mai eredi. Non li può avere perché altrimenti i suddetti metterebbero in discussione l’esistenza della sua immortalità musicale. Da ciò discende (secondo punto) che, anche a distanza di anni e di ovvi cambiamenti di stili, non può esistere un musicista che meriti di ambire alla categoria “idolo numero due, il degno erede di…”, come siamo avvezzi a scrivere quando nuovi artisti si affacciano sulle scene musicali. Punto terzo: i paragoni, su basi ritmiche/musicali e di scrittura testi in senso stretto, non sono ammessi: come osi mettere sullo stesso piano un testo di Gil Scott-Heron con quello di un rapper italiano qualsiasi? Ma dov’è la qualità di questi ultimi? E ancora, Bob Marley, BOB MARLEY!, non ha lasciato star degne della sua altezza, lui aveva quel “quid” in più che lo ha fatto assurgere a leggenda; il nuovo reggae non è reggae ma qualcosa che gli può vagamente assomigliare e, comunque, per potenza espressiva e tipicità del suono (merito anche dei suoi fedeli Wailers), non arriva nemmeno ai piedi della statua del mitico Bob che campeggia nel giardino della sua casa-museo di Kingston.

Ciò fa riflettere e mette pure in crisi: possibile che abbia perso il senso critico? Beh, sì, col passare degli anni ci si ammorbidisce (equivalente gentile al “si rincoglionisce”). E soprattutto, possibile che dopo le “nostre” star non siano nate nuove stelle? Prima di inoltrarmi nello spinoso discorso delle generazioni e delle possibili spiegazioni, vorrei mettere un punto fermo. E per farlo mi appello a uno che di queste cose ne sa abbastanza, per esperienza, bravura e genialità (e già comincio a dare giudizi su un artista che ha segnato il piacere della mia musica). David Byrne, l’ex frontman dei Talking Heads, l’uomo “universale” sempre alla ricerca di nuove forme di musica, l’onnivoro della commistione dei generi, affascinato dalle culture e dalla world music. Nella prefazione al suo libro (da leggere!) Come funziona la musica (Bompiani, 2019) l’autore spiega: «(La musica, ndr) È una cosa forte». E continua: «Il modo in cui la musica funziona, o non funziona, non è determinato da ciò che è di per sé, isolata dal resto (ammesso che una condizione del genere esista), ma in gran parte da ciò che la circonda, da dove e quando la si ascolta. Il modo in cui è eseguita, venduta, distribuita e registrata, chi la esegue e con chi la si ascolta e, naturalmente, come suona…». Parole sante dove è racchiuso più o meno tutto il nostro ragionamento.

La musica dipende da chi la suona, dal momento storico in cui la si assimila, dalla forza commerciale delle label che la spingono, e, soprattutto, dal tuo stato d’animo. Insomma la tua star è amore a primo ascolto, il tuo “personal Jesus” che ti dà sensazioni, emozioni, carica. Ci siamo passati tutti, forse questa inclinazione s’è accentuata in quelli della mia generazione e di quelle immediatamente prossime, che hanno vissuto un genere dirompente, il rock, in un periodo di grande contestazione sociale, legando inevitabilmente adolescenza, musica, politica, pensiero. Mio padre ascoltava Fred Buscaglione, Bruno Martino, mia madre amava la  lirica con escursioni (rare) tra Nilla Pizzi e Orietta Bertii… Per me era spazzatura, o poco ci mancava. Ascoltavo Pink Floyd, Genesis, Jethro Tull, Deep Purple, Talking Heads, Bob Dylan, Van Morrison, Cantautori italiani, bossa nova, jazz, Chuck Mangione, uno dei miei preferiti, Gerry Mulligan, Miles Davies, ma anche classica, Mozart lo consideravo un dispettoso maghetto dalle mille risorse… Mia figlia oggi è pop con innesti rap ma con escursioni trap. Il mondo va avanti e non necessariamente in meglio, viste anche le condizioni in cui ci troviamo ora. Ma non possiamo nemmeno essere così nichilisti.

Ricorro a quel geniaccio di Philip Ball, chimico, fisico e divulgatore inglese, siamo praticamente coetanei, da scienziato ha scritto L’Istinto Musicale (edizioni Dedalo, 2011), dando la sua definizione di musica, che poi coincide con quella di Byrne, detta in altro modo: «È parte di ciò che siamo e del modo in cui percepiamo il mondo». È chiaro che ogni generazione ha i suoi miti. Il problema è che, nella gran parte dei casi, ognuno si tiene i suoi preferiti, restando così ciecamente ancorato alla propria generazione, a uno spazio temporale definito. Spesso mi sento dire: «Son troppo vecchio per dedicarmi a questi nuovi cantanti», o anche «Oggi non si fa più musica, c’è solo porcheria in giro». Ma se spingi il demotivato campione ad approfondire con nuovi autori, magari provenienti da quelli che erano i suoi “primi piatti” musicali, scopri che c’è un grande disorientamento: in genere le persone non  si avvicinano nemmeno, forse perché hanno timore… di non capire. Ci sono, ovviamente, le eccezioni: il mio amico Stefano, cinquantenne, è stranamente (o incautamente?) incuriosito dal rap come fenomeno sociale, per questo va a scovare tutti i dischi possibili, concentrandosi sui testi, non gliene scappa uno! Bruno Martino, tanto per prendere uno degli artisti citati, l’ho capito molti anni dopo, e nella sua bravura di autore ho riconosciuto alcuni dei percorsi sonori che mi appartenevano già.

Sto cercando di farlo con i nuovi artisti, siano essi rapper, trapper, new reggae, rock nelle sue versioni più innovative o estreme, alternativi, elettronici, disco. Ascoltare è la miglior arma per capire. Ma bisogna farlo con metodo per riuscire a penetrare questi nuovi mondi. Noi, astronauti in orbita intorno al pianeta Musica, bardati con tute sigillate per evitare di respirare sostanze “contaminanti”, dobbiamo avere l’umiltà di spogliarci e ascoltare. Potremmo scoprire altre strade meravigliose, magari molto più panoramiche (non si perderà l’originale purezza di gioventù), orizzonti sonori totalmente nuovi.

Concludo dicendovi cosa sto ascoltando ora con grande interesse ijn questi giorni: il jazzista israeliano Avishai Cohen (da non confondere con l’omonimo contrabbassista jazz) con il suo nuovo progetto Big Vicious, album uscito il 20 marzo scorso. Trombettista che esplora tanti generi dal jazz al rock al trip hop. Molto interessante l’interpretazione della beethoveniana Moonlight Sonata. Qui godetevelo in Teardrop, gran bella rivisitazione del brano dei Massive Attack, dall’album Mezzanine (1998). Il,secondo sempre in cuffia è Earth di EOB, il progetto solista di Ed O’Brien, chitarrista dei Radiohead, uscito il 17 aprile. Ci ha messo un bel po’ di tempo a comporlo, otto anni, si è avvalso della collaborazione di grandi artisti, Flood alla produzione, il collega di band Colin Greenwood, al basso, Glenn Kotche, il batterista degli Wilco, Adrian Hutley dei Portishead e molti altri. Ed mette nell’album tanto Brasile, dove ha vissuto nel 2012, a suo modo, ovviamente. Sentite proprio il brano Brasil, dura 8 minuti e 27 secondi! Ultimo disco in ascolto, anche questo uscito da poco, il 10 aprile, è The New Abnormal dei The Strokes. «And now we’ve been unfrozen and we’re back», ha annunciato il frontman della band Julian Casablancas all’uscita del lavoro, dopo sette anni di silenzio, inframmezzato da un EP, Future, Present, Past (2016). Suonano rock, onesto, pulito,  lineare, beatitudiniario e fluidificante per questi giorni. Dietro alla band, il produttore Rick Rubin, una garanzia. Un’infilata di riff, chitarre, synt che ti fa sentire a posto con la vita e con le giornate da affrontare. Qui At The Door.

Musica e scrittura/ Da Gil Scott-Heron ai rapper italiani

Leggevo sul New Yorker, preziosa rivista ricca di spunti, un pezzo davvero interessante su Gil Scott-Heron. Poeta, scrittore di gran spessore intellettuale e culturale, ma anche musicista molto apprezzato a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Gil, morto a 62 anni nel 2011, è stata la fonte di ispirazione di molti scrittori e altrettanti musicisti. Era un attivista afroamericano, uno che osservava la vita e la traduceva in parole compiute, uno spoken word (un poeta che musicava i suoi versi). Un poeta/musicista “maledetto”, che ha conosciuto la droga e il carcere. Tra i suoi album, anche se qualcuno lo ha definito il più “convenzionale”, leggi commerciale, c’èPieces of Man, il suo secondo lavoro, del 1971. La prima traccia, The Revolution Will Not Be Televised, è recitata su una base funk tipicamente anni Settanta. Ma l’incedere delle parole e il basso che scandisce la ritmica poetica ne fanno uno dei primi, “inconsapevoli”, pezzi hip hop della storia. Un rap delle origini che gli appassionati del genere dovrebbero ascoltare e tenere a mente. Il brano richiama le tensioni studentesche del tempo, le proteste, le dure repressioni della polizia e la constatazione amara che la rivoluzione non si vedrà mai in televisione..

You will not be able to stay home, brother
You will not be able to plug in, turn on and drop out
You will not be able to lose yourself on skag and skip
Skip out for beer during commercials
Because the revolution will not be televised
The revolution will not be televised
The revolution will not be brought to you by Xerox
In 4 parts without commercial interruption
The revolution will not show you pictures of Nixon
Blowing a bugle and leading a charge by John Mitchell
General Abrams and Spiro Agnew to eat
Hog maws confiscated from a Harlem sanctuary
The revolution will not be televised
The revolution will be brought to you by the Schaefer Award Theatre and
will not star Natalie Wood and Steve McQueen or Bullwinkle and Julia
The revolution will not give your mouth sex appeal
The revolution will not get rid of the nubs
The revolution will not make you look five pounds
Thinner, because The revolution will not be televised, Brother
There will be no pictures of you and Willie Mays
Pushing that cart down the block on the dead run
Or trying to slide that color television into a stolen ambulance
NBC will not predict the winner at 8:32or the count from 29 districts
The revolution will not be televised
There will be no pictures of pigs shooting down
Brothers in the instant replay
There will be no pictures of young being
Run out of Harlem on a rail with a brand new process
There will be no slow motion or still life of
Roy Wilkens strolling through Watts in a red, black and
Green liberation jumpsuit that he had been saving
For just the right occasion
Green Acres, The Beverly Hillbillies, and
Hooterville Junction will no longer be so damned relevant
and Women will not care if Dick finally gets down with
Jane on Search for Tomorrow because Black people
will be in the street looking for a brighter day
The revolution will not be televised
There will be no highlights on the eleven o’clock News
and no pictures of hairy armed women Liberationists and
Jackie Onassis blowing her nose
The theme song will not be written by Jim Webb, Francis Scott Key
nor sung by Glen Campbell, Tom Jones, Johnny Cash
Englebert Humperdink, or the Rare Earth
The revolution will not be televised
The revolution will not be right back after a message
About a whitetornado, white lightning, or white people
You will not have to worry about a germ on your Bedroom
a tiger in your tank, or the giant in your toilet bowl
The revolution will not go better with Coke
The revolution will not fight the germs that cause bad breath
The revolution WILL put you in the driver’s seat
The revolution will not be televised
WILL not be televised, WILL NOT BE TELEVISED
The revolution will be no re-run brothers
The revolution will be live

L’artista ha pubblicato una quindicina di album in studio più altri live e alcune raccolte, quasi tutti in collaborazione con Brian Jackson, polistrumentista, amico e anima gemella di Scott-Heron per molti anni. Il 7 febbraio 2020 è uscito un nuovo album “firmato” Gil Scott-Heron e Makaya McCraven, batterista jazz di 36 anni, dal titolo We’re new again: a reimagining by Makaya McCraven. Un nuovo modo di presentare la musica di Gil (Makaya ha fatto un grande lavoro di ricerca sonora, sovrapponendo tracce originali a un suo interessante incedere ritmico che fa avvicinare Scott-Heron a un cantante hip hop, a riprova di quanto si diceva prima, con incursioni pesanti nel jazz. Ascoltate Where Did The Night Go, Running o, ancora I’m New Here e giudicate voi.

A questo punto, incuriosito ho fatto qualche salto plurigenerazionale in avanti di 49 anni, spostandomi in Italia dove il rap, la trap, e tutti i derivati di questi generi, sono il sempre più solido corollario del nuovo pop italiano, come sostengono Roberto Cibelli e Giuliano Saglia della Red Music, intervistati un po’ di tempo fa. Tanti giovani aspiranti che si autoproducono, aprendo il loro canale su YouTube nella speranza di sfondare. Ce n’è di tutti i generi, quelli che provano perché “cosa vuoi che sia mettere una base e rapparci sopra” (e vabbè, amen!), quelli che vengono dai “quartieri alti” ma che comunque hanno qualcosa da dire, e quelli delle periferie, che vivono il disagio di essere diversi perché, magari, figli di immigrati, che non si sentono né carne né pesce. Bisogna ascoltarli più e più volte per capirli, poi senti dove c’è sostanza. Il rap è musica, sì, certo, ma è soprattutto testo, comunicazione, sfogo, voglia di spiegare, di urlare al mondo. Ho scelto tre autori che hanno pubblicato due dischi e un brano affatto male nell’ultimo mese e mezzo.

Il 31 marzo scorso Claver Gold e Murubutu rilasciano Infernvm, la loro personale versione dell’Inferno di Dante Alighieri. Rap Intellettuale, ricercato, sia nella musica sia nei testi. L’album è bello, intenso, giustamente cupo, ricco di richiami letterari del Divin Poeta, riadattati alla visione attuale. Raccomandato al cento per cento! I due artisti non sono i soli a seguire questo sentiero del rap. Con loro Rancore, ma anche Cranio Randagio, morto a 22 anni nel 2016, il duo piemontese Uochi Toki tanto per citarne alcuni. Torniamo ad Infernvm: vi propongo di ascoltare quello che, nella storia di Dante è il primo approccio al mondo degli inferi: Caronte.

 

Sì, sì
Sì, sì
Voi non vedrete più il cielo
Io vi porto le tenebre eterne,
Un urlo cieco squarcia il regno dell’eternità
Il timoniero nell’impero delle anime perse
Spinge fiero il vecchio legno nell’oscurità
Fra i dannati mille corpi si spingevano sui bordi
Tutta in riva all’Acheronte stretti a forza in mezzo ai solchi
Appena mille erano a bordo sotto i colpi di Caronte
Gli altri mille erano pronti verso l’Aldilà
Oggi il demonio sull’antico porto
Vanità è storia dell’umanità
Ogni devoto qua ha il suo psicopompo
Divinità ctonia della verità
Ogni anima è foglia che cade nell’ombra
Il nocchiero col remo percuote la folla
D’antico pelo pieno d’astio e di boria
Perché tutto ciò che odia è soprattutto la sua identità
Dove vai, dove vai, dove vai
Dove vai, dove vai, dove vai
Se cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole
Cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole
Ed eravamo nudi come appena nati
Soli dove il mondo ci ha dimenticati
Sporchi, raffreddati, tesi e spaventati
Nell’attesa d’esser traghettati, presi e giudicati
Conati, bile, sangue e lacrime si fan vapore
La dura voga del traghettatore peccatore
Un’eco d’onda sopra l’Acheronte fa rumore
Ora è il momento di pregare forte il tuo Signore
Stringevo forte due monete per pagare il pegno
Per pagare il legno, soprattutto per sentirmi degno
Di traversare il fiume nero e poi scordare l’eros
Sono solo un passeggero in fuga verso il nuovo regno
Ed ora vieni, occhi di fuoco, vieni al tuo lavoro
Vieni ancora per fermare il gioco, poi torna per loro
Torna per l’oro sopra gli occhi con i remi rotti
Torna per chi in certe notti si è sentito sempre solo
Se cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole
Cerchi un passaggio per un’altra vita
Perché la vita non è come vuoi
Sali sul legno del demone guida
Lungo le sponde di lacrime noi
Con gli occhi di brace lui ci portò via (via, via)
Pagheremo il peso della dannazione
Morte della pace nell’anima mia
Dove l’aria calda infuocava le gole

Il romano Mostro, 26 anni, ha pubblicato il 3 marzo scorso Sinceramente Mostro. Di buona famiglia, Giorgio Ferrario, 27 anni, ha impiegato molto tempo per rielaborare la perdita di un fratello a causa di un incidente stradale. Depressione, adolescenza, sbandamenti, strada in risalita per ritrovarsi. Qui la struggente  Memorie di uno Sconfitto P2: chi dobbiamo essere per essere felici? Si domanda l’artista… E ancora: Cosa faremo poi quando saremo soli e vecchi?

Nasco nel caldo del deserto
Apparentemente tutto calmo, tutto fermo
La sabbia copre il cemento
Non posso camminare, con le mani cerco il vento
Una culla fatta di legno
Fatico a dormire, un pensiero mi tiene sveglio
Mamma mi tiene in braccio, lontano dalla polvere
Ma come tocco terra, capisco che devo correre
Piccoli passi ma veloci, fuggo da incubi feroci
Correndo mi perdo i giochi
Incontro i serpenti, cammelli coi beduini
Cerco almeno di tenere i miei fratelli più vicini
In quella casa, che casini
Corro in salita, sopra le dune
Scorpioni sui miei vestiti, ‘fanculo le mie paure
Da qui vedo le strade, non mi posso fermare
Quei piccoli passi ora sono delle falcate
Ma l’adolescenza è una tempesta, la sabbia si fa asfalto
Imparo a soffocare la rabbia dentro a un pianto
Chi scappa, qua è solo un codardo
Ma io non scappo, io sto cercando
Io continuo a correre, supero anche i miei amici
Corri in mezzo agli autobus, nel traffico, fra tutti gli edifici
Mi allontano ad ogni passo, sguardo basso ed occhi grigi
Chi dobbiamo essere per essere felici?
Ma a vent’anni nella giungla, sfreccio nella foresta
Tu non puoi fermarmi, spacco i rami con la testa
Ho il cuore più duro, sicuro, di una corteccia
Non sono un uomo, sono un’arma, io sono una freccia
E mi dimentico gli affetti, corro a denti stretti
Perché ho troppa paura che la vita non mi aspetti
Cosa faremo poi quando saremo soli e vecchi?
Resto il più bello di tutti in una stanza senza specchi
Le fughe dalle pantere, gufi e le lune piene
Qui è dove le bestie mangiano le tue preghiere
Mi volto un’ultima volta, vedo mio fratello cadere
Solo un altro passo e sono immerso nella neve
Ma tu lo sapevi che è vero
Che i sogni più grandi sono fatti di vetro
Feci un respiro e decisi che non mi sarei guardato più indietro
Per la prima volta io non so come rialzarmi
Nessuno può trovarmi o lanciarmi una corda
Il ghiaccio che mi blocca, il cuore come gli arti
Non mi farà più scrivere, mi chiuderà la bocca
Basta poco, uno schiocco di dita
Fuori il gelo, però dentro io scoppio di vita
La mia fine non è ancora questa
Vuol dire che corro, corro al doppio di prima
E sono fuori io da solo, nudo nella bufera
Sopravvissuto a tutto, lupo della Siberia
Ho camminato a lungo, fino ai piedi di questa montagna
Pensavo solo “Ora non posso non farcela”
Dio mi guarda e dice solo “Dove vai?”
Troppo scivolose le suole delle mie Nike
Mentre mi avvicino al sole gli urlo forte “Ora vedrai”
Non sarò come la neve perché io non cadrò mai
Ventisette, sono in cima, sorrido per l’impresa
Davanti a una discesa, che mi porta ad un’altra salita
Da qua sopra che apprendo il senso di questa vita
La mia meta è una ricerca che non è finita
Una bufera si avvicina, è vero
Ma pare come un amico, il tramonto dietro la crina
Io metto tutto quanto in una rima
E vado alla conquista della mia vita
Vediamo chi arriva prima

Il milanese Maruego, 27 anni, origine marocchine, una vita movimentata, ha camminato  alcuni anni con Ghali con cui ha iniziato a cantare, contribuendo a portare la trap in Italia. Le loro strade poi si sono divise. Un inizio con buoni singoli, nel 2017 il primo album Tra Zenith e Nadir. Il 3 aprile, pubblica il singolo La vie en rose Nel testo della canzone non manca una citazione: si tratta di uno dei versi più famosi della storia del rap italiano, quello di Neffa nel pezzo Lo straniero dei Sangue Misto: «Io quando andavo a scuola da bambino la gente nella classe mi chiamava marocchino…».

Oh cercavo un pretesto e la mia non è certo una vie en rose
sono qui da un po’
Ho detto bye mon amigo, bye mon amigo
adio vida locos mi fa uscire loco come un decoltè
c’ho nella testa come un tarantino
finchè sto sangue non sarà rosè
sto pezzo l’ho scritto per te
mio cuore che fa
bam bam pamparam parampam
pamparam parampam
pamparam parampam
pararirararera
E quando andavo a scuola da bambino
la gente della classe mi chiamava marocchino,
vucumprà torna da dove sei venuto
io salgo sopra il podio da abusivo
muto, chico, sto su un marciapiede con la shisha
i miei partiti quando c’era un shh dentro al frigo
fumo per Milano come fosse mia
oh bella Madonnina, lo sai te quiero mucho
io sto per strada come un’intifada in guerra con la clava
e non mi andava ma in carovana non avevo nada
e lei danzava sì con il ventre proprio come un cobra
e mi son perso tra le sue curve dune del Sahara
Oh cercavo un pretesto e la mia non è certo una vie en rose
sono qui da un po’
Ho detto bye mon amigo, bye mon amigo
adio vida locos mi fa uscire loco come un decoltè
c’ho nella testa come un tarantino
finchè sto sangue non sarà rosè
sto pezzo l’ho scritto per te
mio cuore che fa
bam bam pamparam parampam
pamparam parampam
pamparam parampam
pararirararera
Da marocchin, Kho a Maru il king
In culo alla routine
Spetta a te se essere un se
O essere un sì
Ora che MC co-copia MC, come col Canta Tu
Contento te se pensi che ti bastasse l’autotune
E dammi un beat che li lasci in peace
Che li manda in tilt
Senti un click, baby, è la mia bic
Io il mujaeden
Questo flow non conosce stop
Non conosci il team
Senti “boom” come giù a Kabul
Se veniamo lì
Questa merda mi entra dentro come un virus
Si insidia come iblis
Infine poi ti investe come un Urus
Ho pregato Dio, fra’, per una nuova chance
Mi son visto allo specchio, ero io l’escamotage
Oh cercavo un pretesto e la mia non è certo una vie en rose
sono qui da un po’
Ho detto bye mon amigo, bye mon amigo
adio vida locos mi fa uscire loco come un decoltè
c’ho nella testa come un tarantino
finchè sto sangue non sarà rosè
sto pezzo l’ho scritto per te
mio cuore che fa
bam bam pamparam parampam
pamparam parampam
pamparam parampam
pararirararera

Urban Indie/1 – Roberto Cibelli, Giuliano Saglia e la rivoluzione della musica

Ok, il discorso va affrontato, e lo dico da vecchio rocker quale sono. L’ormai rugginosa “guerra” tra rock e rap all’alba del 2020 non ha più nessun senso. Il rap ormai è stato introiettato e digerito come genere “storico” acquisito. Ha la sua lunga storia  – dagli anni Settanta a oggi di “rappate” per le strade e nei palchi del mondo ne sono passate tante – e, come è accaduto per il rock, va considerato come una delle “stagioni” della musica, quei particolari, intensi, momenti di cambiamenti sociali e culturali che rendono quest’arte una delle antenne principali per captare i cambiamenti in corso. Dunque, eccoci qua. Con una notizia arrivata fresca proprio oggi – l’assassinio di Pop Smoke, 20 anni, rapper newyorkese stimato dai grandi nomi del genere, da Nicki Minaj a Cardi B, per citarne un paio – che non smentisce la fama ribelle e trucida dell’hip hop d’oltreoceano. Quello italico è profondamente diverso, di sicuro non fisicamente violento. Non si parla più di disagio e riscatto sociale, com’era per il rap, ma di esibizione e voglia d’avercela fatta, di soldi e lusso, di un machismo ostentato, con un uso snervante dell’autotune sul cantato (trap) e una libertà di esecuzione vocale non legata al beat, che nella trap è più accelerato (vedi Sfera Ebbasta, Ghali, il giovane Shiva). Salvo rare eccezioni il trapper è un artista solitario che non si associa in crew: se ce la fa, emerge e diventa famoso ed è solo per merito suo e di nessun altro… La trap sta evolvendo a sua volta, nascono nuove correnti con nomi coniati dagli stessi artisti… C’è chi paragona – per certi aspetti a ragione – questa “rivoluzione” musicale al punk degli anni Settanta, come corrente di rottura, che sa parlare la lingua del disagio giovanile…

Il nostro viaggio nel mondo rap/trap, inizia in una tranquilla via di Milano, a due passi da Paolo Sarpi, nel quartiere cinese. Qui ha sede la Red Music edizioni musicali. Al timone Giuliano Saglia, 67 anni, e Roberto Cibelli, 60. Più che una label è una “talent scout house”, una “casa sicura” dove, chi ha talento, può emergere e viene aiutato in tutto, dalla costruzione del personaggio alla mera burocrazia.

Roberto Cibelli, a sinistra, e Giuliano Saglia, a destra, della Red Music

Come siete entrati nel mondo dell’Urban? Nel corso degli anni avete anche intercettato il fenomeno della Disco Music italiana mietendo più che rispettosi successi (tanto per ricordarne uno, Giuliano Saglia nel 1998 ha coprodotto con Alex Farolfi e Mario Fargetta, Feel it, arrivando al top delle classifiche inglese ed europee)…
Roberto: «Siamo entrati nell’Urban Indie per necessità. Con la crisi del 2008 ci siamo ritrovati a decidere su cosa fare della nostra attività, così abbiamo puntato su quella fetta di musica indipendente che le grandi case discografiche, per motivi di struttura e tipo di lavoro, non consideravano… È andata bene. Tra 10, 15 anni questa musica sarà considerata il pop italiano».

Secondo voi perché ha preso piede divorando fette di mercato sempre maggiori?
Roberto: «Mi rifaccio alle parole di J-Ax: l’Urban Indie si è affermato grazie a Internet, Spotify, i social media. Le major non hanno più il potere di decidere quali artisti siano da promuovere e mandare avanti e quali no. Questi ragazzi non devono ringraziare nessuno se non loro stessi e la loro creatività… Tra il 2010 e 2015 non ascoltavi un brano urban in radio, oggi è tutta un’altra storia».
Giuliano: «Il pubblico è cambiato. I ragazzi si identificano perché nei brani di artisti che hanno la loro stessa età e che sono cresciuti negli stessi luoghi, vengono affrontate tematiche reali. Diventare famoso è uno degli obiettivi futuri dei giovani ascoltatori. Devi saper esprimere quello che stai vivendo, sei arrabbiato, non hai soldi, hai un’infanzia difficile… il gergo è lo stesso da Milano a Catania».
Roberto: «I social sono stati importantissimi. Come artista puoi interagire immediatamente con chi ti segue. Prima la comunicazione la faceva la casa discografica ed era distaccata, non coinvolgente. Il pubblico, il tuo pubblico che si riconosce in quello che tu dici, ti sente vicino, un amico».

Ciò ha permesso a molti più artisti di emergere?
Roberto: «Non proprio. Prima c’era l’imbuto della casa discografica: potevi essere un genio, ma se, magari, quel giorno chi ti ha visto non ha capito chi tu fossi veramente, la tua carriera veniva stroncata definitivamente ancor prima di nascere. Oggi a decidere è il pubblico. Se piaci vai avanti altrimenti no. I numeri degli “emergenti” sono gli stessi di quelli che c’erano nell’era del pop».
Giuliano: «È una questione di possibilità, non sono gli altri a decidere la tua carriera, ma sei tu. Se hai le capacità puoi arrivare a sfondare anche da solo. Prendiamo ad esempio Ghali. È stato con noi nella fase iniziale. Era un ragazzo con una vita difficile, abitava in un appartamento minuscolo con la madre in un quartiere difficile e di periferia. Aveva tutta la voglia e la forza di emergere, raccontare, uscire da una esistenza dura. Chi ti ascolta capisce se in te, artista, c’è spessore o meno…».

Insomma, Internet e i social hanno democratizzato la musica…
Roberto: Sì. Pensa solo negli anni Settanta e l’ondata del cambiamento musicale con l’arrivo dei cantautori. Ti sei mai domandato perché emergessero per lo più artisti romani e pochissimi milanesi? A Roma aveva sede l’RCA. La potente etichetta aveva addirittura creato una scuola per cantautori. Oggi il territorio fisico non esiste più, si gioca tutto nel web».

Qual è il futuro della musica italiana?
Giuliano: «Si è partiti con il rap e si va verso un indie che non ha contorni definiti. È come un fiume che scorre impetuoso ma non costretto in un unico letto. L’acqua si spande ovunque… Ora siamo noi discografici che seguiamo l’onda, prima era esattamente l’opposto: si creava la moda e il genere. Oggi si inseguono le mode e i generi si cavalcano».

È corretto definirvi “scopritori di talenti”?
Giuliano: «Vediamo decine di ragazzi ogni settimana, ascoltiamo le loro produzioni. Se scorgiamo del talento creiamo un progetto per loro, gestiamo tutta la parte del copyright e la burocrazia, permettiamo loro di apparire negli store, ma li lasciamo discograficamente liberi».