Musica e cervello/ La quarantena ci regala pure l’8D! Ma… perché?

La quarantena può giocare brutti scherzi… o almeno rendere appetibili e visionarie cose che, tutto sommato, abbiamo già vissuto quando abitavamo “il mondo normale”. Una di queste l’avrete sicuramente provata, magari senza l’enfasi della conoscenza: un invito via whatsapp a collegarvi a un link dove ascoltare la musica come mai l’avete ascoltata prima. Con la premessa di indossare, possibilmente, un paio di ottime cuffie per contribuire a rendere al massimo questa nuova, strabiliante, incredibile, maivistaprima, aiutatemi con gli aggettivi e le iperboli per cortesia, esperienza sonora.

Anch’io, come tutti, per ingannare le ore al di qua delle finestre, mi sono messo le mie ottime cuffie e ho cliccato una delle tante canzoni (se andate su YouTube c’è addirittura un canale dedicato), riviste con la tecnica 8D. Effettivamente l’effetto trastorna, non tanto in purezza di suono, quanto in “avvolgenza sensoriale”. Con calma.

Terminata l’esperienza (in questo caso era   la piacevolmente cupa Billie Eilish) sono andato nella mia libreria sonora digitale a cercami The Final Cut, album dei Pink Floyd uscito nel marzo del 1983, dodicesimo lavoro in studio della band inglese, ultimo con il mitico bassista Roger Waters autore di tutti e dodici i brani del disco. I rumori di tutti i giorni, le auto che partono, le voci di sottofondo, le urla di bimbi nei parchi giochi sembrano (sempre con la solita ottima cuffia) provenire dalla strada, ma c’è la quarantena e di auto e bimbi nel mio quartiere nemmeno l’ombra (per fortuna!). Stiamo parlano di 37 anni fa. Allora l’album fu registrato con i microfoni olofonici, un sistema messo a punto dall’ex bassista dei Nomadi, Umberto (Umbi) Maggi e da un giovanissimo ingegnere italo argentino, Hugo Zuccarelli, che aveva studiato pure al Politecnico di Milano, un vero genio. La registrazione avveniva attraverso una coppia di microfoni omnidirezionali posizionati come se fossero delle orecchie umane. In questo modo si otteneva quella tanto ricercata terza dimensione sonora che avrebbe reso la musica immersiva. Ovvio che Waters e compagnia ci si infilassero a pesce e The Final Cut fu registrato così, ma anche altri artisti furono attratti, da McCartney al nostro Dalla e all’altro geniale sperimentatore sonoro che corrisponde al nome di Peter Gabriel (ve lo ricordate il tour Sledgehammer del 1987 con il mitico Tony Levin al basso?).

Nell’ormai lontano 2012 un altro cavallo pazzo del rock, Neil Young (qui Alabama) decise che gli ascoltatori della musica in streaming avevano tutto il diritto di ascoltare produzioni in alta fedeltà, un dovere per chi faceva musica e per chi ascoltava, insomma il patto di amore sonoro che lega un artista ai suoi fan. Si inventò il Pono, ti registravi al suo sito (l’ho fatto!), pagavi un piccolo contributo e avevi diritto ad ascoltare musica a un ragionevole rapporto qualitativo. Se la volevi ascoltare ancora meglio, acquistavi il Pono fisico, una sorta di lettore Mp3. L’esperienza fallì dopo tre anni. La cosa che è rimasta, però, e che è una genialata, è che pagando un paio di dollari mensili avevi accesso a tutto l’archivio sonoro e fotografico, storico e stoico di Young. Un giusto compromesso tra il lavoro remunerato dell’artista e le escursioni sconfinate nel magico mondo del canadese naturalizzato americano.

E arriviamo a fine marzo con l’osso tirato a un cagnolino triste rinchiuso in gabbia. L’8D, l’ottava dimensione, ti avrebbe aiutato a salvarti dalla quarantena. E in parte è così. Solo che questa magica superdimensione sonora esiste da un bel po’ di tempo e viene usata soprattutto da rapper e trapper nelle loro produzioni, oltre che negli effetti speciali cinematografici. È un sistema fondato sul riverbero e sul panning: il cervello legge prima l’origine della sorgente sonora, poi, questione di millesimi di secondo, i rimbalzi delle onde se ci troviamo in una stanza, un teatro, una sala musica. Il riverbero prevale alla lunga rendendo quell’effetto pieno del suono dove tu sei al centro dell’universo, almeno credi di esserlo. Usando il panning, ovvero quello strumento sul mixer che permette di dosare lo spostamento dell’audio di un canale nel mix destro o sinistro, il gioco è fatto. Crei quel turbinio dove la musica gira intorno a te da destra a sinistra fino a quando ti sembrerà provenire da ogni direzione. Un divertissement per il tuo cervello rattrappito dalla quarantena colpito dalle tante preoccupazioni sul futuro. E va bene, basta saperlo: a un concerto di Carlos Santana all’Arena di Verona, tanti, tanti anni fa, sotto un diluvio universale, l’umidità che scordava le chitarre, un mio vicino di pietra aspirando un “cannone” d’ordinanza di tutto rispetto mi guardò e mi disse: «Accidenti amico, senti l’acuto della chitarra, lo tiene da un tempo infinito, mai sentito niente del genere.. Siamo arrivati alla perfezione della musicaaaa…». Beh, ecco, altro che 8D… forse bastava un po’ di pachistano…