Sanremo 2021 e il Gioco dell’Oca…

Scrivo questo post mentre sto ascoltando l’ultimo lavoro di Paolo Simoni, Anima, uscito il 5 febbraio scorso, giorno del 36esimo compleanno del musicista di Comacchio. Simoni non pubblicava un album dal 2016. S’era dato da fare componendo per Gianni Morandi e Loredana Bertè e anche con la letteratura, pubblicando Un pesce rosso, due lesbiche e un camper per la Compagnia Editoriale Aliberti (2018), e facendo l’ospite dell’Infinito Tour di Roberto Vecchioni, due anni fa.

Lui e il pianoforte per dieci canzoni, la prima L’Anima Vuole, con un intervento proprio di Vecchioni, che raccontano speranze, sogni, amori, ansie, con ironia e una vena di drammatica verità. Paolo Simoni è uno dei tanti cantanti che ha visto il palco dell’Ariston a Sanremo, nel suo caso, nel 2013, con Le Parole.

Ieri sera, uno dei tanti, mi sono visto la prima serata del Festival edizione 2021. Sala per forza vuota, varietà allo stato puro – e non poteva essere altro – con il gran mattatore Fiorello, con Amadeus “soggiogato” da Ibrahimovic, con la brava Matilde De Angelis. Format impeccabile. La musica? Sonnolenta, fatta eccezione per pochi casi. Insomma niente di nuovo, nonostante i critici si affrettino a dare voti, fare classifiche, raccontare le esibizioni, sempre freddine per assenza di pubblico, cercando di tirar fuori il meglio anche dove il meglio non c’è.

È curioso come Sanremo sia da sempre un gioco di società, una sorta di Gioco dell’Oca, dove vai avanti e indietro ma sempre su un percorso ben definito. Disprezzato, amato, criticato, forzato, per certi versi innaturale, ma evidentemente in sintonia con il Paese.

A maggior ragione in questo momento, tra nuovi Decreti della Presidenza del Consiglio, scandalo mascherine, persone sollevate dagli incarichi, nuovo governo, chiusure e mezze chiusure, vaccini chissàquando, smart working, scuole chiuse, aperte, dipende dai contagi, Dad a manetta…

Sanremo è il buonismo, un mix dove trovano posto la denuncia per i femminicidi, le violenze contro le donne e la liberazione di Patrick Zaki, con l’esibizione della Bertè, che a 70 anni ha ancora una grinta da rocker mai in pensione, e le mise di Achille Lauro che a forza di stupire, non stupisce più. Cose talmente preoccupanti e dure passano tra un applauso, una canzone e un sorriso, lampi di vita reale citati in pochi secondi ma necessari allo spettacolo. Il tanto abusato The show must go on qui è d’obbligo.

«Non sono altro che un artista, un giocoliere di altre vite, con un fiato da centravanti e un cuore a dinamite…» canta Paolo Simoni in Non sono altro che un artista. L’Ariston è un palco difficile, lo dicono tutti quelli che lo hanno calcato. Eppure anche Laura Pausini, recente vincitrice di un Golden Globe come Miglior Canzone Originale per Io sì (Seen), brano tratto dal film La vita davanti a sé di Edoardo Ponti con protagonista Sofia Loren, ha fatto carriera grazie a Sanremo, edizione 1993 cantando La Solitudine. E prima di lei, Vasco Rossi, nel 1983 con Vita Spericolata: arrivò penultimo, brano non da Sanremo, che però contribuì a fare la fortuna del rocker di Zocca. O, ancora prima, nel 1971, un ventottenne Lucio Dalla cantò 4 marzo 1943: Lucio si classificò al terzo posto con un testo “ammorbidito” perché troppo audace… A dirla tutta, Dalla si trovava a suo agio a Sanremo: aveva partecipato giovanissimo all’edizione del 1966 con Pafff…Bum, brano troppo avanti per il tempo, all’edizione maledetta (quella della morte di Tenco) del 1967 con Bisogna saper perdere, e nel 1972 con la splendida Piazza Grande.

Ci sono anch’io dentro questo Gioco dell’Oca, visto che ne scrivo. Avrei potuto evitarlo? Può darsi. Ma il Festival è notizia e la notizia va data, nel mio caso, commentata. Guarderò anche stasera? Sì. Come diceva Francesco De Gregori – che non ha mai voluto partecipare come concorrente al Festival (anche se scrisse come autore Mariù, su musica di Ron, per Gianni Morandi, 1980) – nella sua La Leva Calcistica del ’68: Ma Nino non aver paura/ di sbagliare un calcio di rigore/ Non è mica da questi particolari/ che si giudica un giocatore… Andrò fino in fondo. In fin dei conti mi voglio vedere tutta la partita!

Musica e Sanremo: si incontreranno mai?

Tra poche ore non si parlerà d’altro, eccezione fatta per il coronavirus che continuerà a mantenere la supertop nella gerarchia delle notizie. Inizia il settantesimo festival di Sanremo (i numeri pari piacciono sempre). Nel 1951, prima edizione, c’erano appena tre interpreti – Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano, che poi erano le due gemelle torinesi, Dina e Delfina – e 20 le canzoni in gara, interpretate dai quattro “big”. Vinse Grazie dei Fior, cantata dalla Pizzi, al secondo posto La Luna si veste d’argento, Pizzi e Togliani, al terzo, Serenata a nessuno, Togliani. A dimostrazione che non si premiava solo il cantante ma anche la qualità della musica e delle parole che componevano i brani.

Oggi Grazie dei Fior risulterebbe alquanto insolita e ingenua (ascoltatela per dovere “storico”!). Il festival è cresciuto, diventando un contenitore dove, in alcune edizioni, addirittura le note sono passate in secondo piano a favore di uno spettacolo tout court, vetrina per attori, imitatori, cabarettisti, ricercatori, professori, sportivi, famosi e meno famosi.

L’edizione numero 70 si preannuncia come tutte le altre, con il gradito ritorno del maestro Beppe Vessicchio, sempre più simile a Giuseppe Verdi, alla direzione dell’orchestra. Tra i big in gara un sapiente “medley” dell’italica ugola: l’eterna Rita Pavone, l’immancabile Michele Zarrillo, la giusta dose di figli dei talent, ex giudici di talent (Morgan e Piero Pelù), vincitori di passate edizioni (Gabbani e Tosca), rapper trasgressivi e “odiati” al punto giusto (Junior Cally), nuove voci, da Leo Gassmann alla giovanissima Tecla Insolia. Torna Masini, arriva Paolo Jannacci, si esibiscono, ventata d’aria fresca, I Pinguini Tattici Nucleari. 

E poi Elettra Lamborghini, Riki, Raphael Gualazzi… oltre a un parterre di ospiti su cui primeggiano Al Bano & Romina, vera incarnazione dell’essenza di Sanremo. Musica e gossip, musica e impegno, musica e vecchie glorie.

Tutto filerà liscio, Amadeus farà il bravo e smemorato presentatore, Fiorello il mattatore, Tiziano Ferro il padre nobile della canzone italiana a buon diritto. Quindi, le chiacchiere dopo festival, i titoli dei giornali, la caccia all’ultimo pettegolezzo, gli italiani (e non solo) davanti al televisore… una fiction in cinque puntate perfetta, lineare, con i tempi giusti per tutto, le risate, il canto, la tristezza, la nostalgia, la bellezza, l’impegno, lo svago e qualche punta di noia assoluta (necessaria). A questo punto non resta che accomodarsi sul divano, qualche buona bottiglia da condividere e amici veri con i quali esercitare la dura arte della critica. In fin dei conti Sanremo è proprio questo…