Francesca Remigi ritorna con “The Human Web”…

«Sto scrivendo un progetto che presenterò alla Berklee dal titolo The Human Web, dove mi concentro ad analizzare l’impatto dei social media, le condizioni economiche e fisiche, uno scontro che la pandemia ha ulteriormente accelerato. Sai sto seguendo quest’aumento vertiginoso di suicidi e tentati suicidi tra adolescenti, mi ha colpito molto. La mia idea è registrare questo nuovo progetto a Boston con musicisti residenti, a maggio». Questo mi raccontava un anno fa Francesca Remigi in un’intervista uscita su Musicabile. 

The Human Web, la “tesi” al Berklee College of Musica, nel Berklee Global Jazz Institute (BGJI) sotto al direzione di Danilo Pérez, è stato il suo lungo e approfondito lavoro, sfociato in un disco uscito il 23 marzo scorso. Un concept album, composto interamente da Francesca, che include una parte visiva,  un balletto con tre danzatrici (Clotilde Cappelletti, Mayke van Veldhuizen, Hannah van den Berg), una dettagliata esposizione scritta e la parte musicale. 

Lo ammetto, sono un fan di Francesca Remigi. Perché a 25 anni dimostra una maturità artistica notevole. The Human Web è un lavoro di pregio, creativo, comunicativo, con un’anima e delle emozioni rappresentate da brani dove hanno suonato vecchi amici, vedi Federico Calcagno, clarinettista, al conservatorio con lei a Milano, e numerosi colleghi della Berklee. 

Metamorfosi, il primo brano, rappresenta una fase lunga e delicata della vita della giovane artista, una malattia che l’ha segnata e da cui ne è uscita. Il riuscire a scriverne ora, a parlarne e suonarne, indica una maturità non da poco. Ci siamo sentiti alcuni giorni fa, io a Milano lei a Boston. La ritrovo in video, sorridente, felice, piena di progetti…

Quindi è andato tutto per il meglio a Boston…
«Sì, ho finito il mio master (aveva ottenuto una borsa di studio, ndr) e ora sto lavorando nell’amministrazione della Berklee per garantirmi uno stipendio, pagarmi casa, e continuare a fare esperienza con molti musicisti, artisti famosissimi nel mondo del jazz. Pochi giorni fa ho suonato in un trio con la pianista Ellen Rowe e la contrabbassista Marion Hayden. In questo periodo sto suonando molto jazz tradizionale. A gennaio sono stata a Panama per alcuni concerti, in Georgia ho registrato un disco. Sono tornata in Europa recentemente suonando in trio a Piacenza. A fine aprile sarò in Cile e a maggio ritornerò per un’altra tornata di concerti in Europa…».

È un bell’effetto suonare con tanti musicisti di grande esperienza…
«Qui esiste un’idea forte di mentorship, gli artisti affermati, grossi nomi nel mondo del jazz, ti insegnano, vogliono che tu suoni con loro, in questo modo avviene una trasmissione del sapere. Così loro si sono formati e ora fanno crescere nuovi musicisti. Ho suonato insieme a John Patitucci (grandissimo bassista newyorkese, ndr), con il pianista Danilo Pérez, con Joe Lovano (sassofonista) e tanti altri… è fantastico! Stasera aprirò un concerto di Terri Lyne Carrington (batterista e storica docente alla Berklee: è stato il secondo post di Musicabile due anni fa, quando lei pubblicò con i Social Science un bellissimo album, Waiting Game, ndr)».

Terri Lyne Carrington! È fantastica… attivista e musicista, che onore!
«Frequento il Berklee Institute of Jazz and Gender Justice, una sezione del college fondata dalla stessa Carrington, di cui è anche direttrice artistica, istituto che ha lo scopo di promuovere un’idea di jazz basato sulla qualità della musica a prescindere dal genere di chi la propone».

Veniamo a The Human Web, un gran bel lavoro…
«È il progetto di ricerca della mia laurea. Contiene, oltre alla musica, letteratura e danza contemporanea (un cortometraggio di 20 minuti dove tre ballerine danzano sulla mia composizione)».

Gli argomenti trattati sono in parte personali e in parte sociali…
«Comporre e raccontare questo disco per me è stata una grande conquista. L’ho potuto fare perché sono io, ora, nel mio presente e nel mio passato. Ho sofferto di disturbi alimentari, anoressia e bulimia. Una malattia molto diffusa, un’emergenza sociale: vengono promosse figure di riferimento che colpiscono gli adolescenti, l’essere magra, l’assomigliare a modelli di bellezza pericolosamente irraggiungibili. Questo mio percorso lo racconto in Metamorfosi, una suite in cinque movimenti che rappresentano l’escalation della malattia, un viaggio attraverso i diversi stati emotivi che caratterizzano i disturbi alimentari, come la depressione, l’ansia, il disturbo ossessivo compulsivo, le allucinazioni. È un cambiamento fisico ma anche psicologico. Diventi schiavo, pensi solo al cibo. La musica traduce tutto ciò: non c’è una costante armonica, semmai è tutto discordante». 

Poi ci sono i social, le tendenze suicide degli adolescenti durante la pandemia, il potere dell’algoritmo che decide per ciascuno di noi…
«Sì, richiamano tutti il concetto di gabbia, come lo è il disturbo alimentare. Il brano che dà il titolo all’album, The Human Web, ispirato dai concetti di William McNeill (autore del libro The Human Web: A Bird’s-eye View of World History, ndr), vuole dare, invece, una visione più positiva di Internet e dei Social Media, che possono essere impiegati come strumento capace di connettere persone, diffondere valori di condivisione, supporto, comunità».

Presenterai il disco nei tuoi concerti in Europa?
«Con i musicisti del progetto Archipélagos abbiamo già proposto in alcuni festival brani di The Human Web, come Follia. Li sto riadattando alla nostra formazione, visto che in questo disco hanno collaborato, oltre a me, 23 persone!».

Ultima annotazione: la cover del disco è bellissima!
«È nata per caso: una musicista che ha suonato il sax in The Human Web, l’argentina Camila Nebbia ha una sorella Caro, bravissima (e famosa) graphic designer che, per inciso, le disegna tutte le cover dei suoi dischi. Ho spiegato a Carola il concept, raccontandole che mi piace molto l’espressionismo tedesco, adoro Egon Schiele, i suoi ritratti dove si focalizza sui cambiamenti fisici dei soggetti. Carola mi ha proposto le ballerine i cui corpi, deformati dai movimenti, sono bellissimi, perfetti!».

Ora cosa ti aspetta?
«Se tutto va come deve, dopo l’estate tornerò negli Stati Uniti, questa volta a New York. Lì mi dovrebbe aspettare un lavoro al The Jazz Gallery, una internship dove dovrei curare concerti live in streaming, svolgendo anche compiti amministrativi, e avere la possibilità di suonare, conoscere grandi artisti del jazz e rapportarmi con altri giovani musicisti professionisti. La scena newyorkese è una bella sfida…».

Musica e Società/La Musica? È una Scienza Sociale

Musica come scienza sociale, capace di raccogliere e offrire stimoli di riflessione, elaborare impegno civile, affrontare temi complessi, dalla politica all’integrazione, dall’ambiente alla cultura. Musica senza barriere, che non ha paura di contaminarsi, anzi, scava nei generi, li plasma, fonde, elabora.

Mi ha molto colpito Waiting Game, il nuovo doppio album di Terri Lyne Carrington & Social Science (dal sito di Terri Lyne potete ascoltare un’anteprima) uscito l’8 novembre dello scorso anno per Motéma Music. Terri Lyne, nata il 4 agosto del 1965 a Medford, una manciata di chilometri da Boston, Massachusetts, è una brillante musicista jazz, suona le percussioni, alla batteria è un’esplosione programmata di ritmi che ti ammaliano, ha suonato con grandi nomi da Herbie Hancock a Wayne Shorter e insegna alla prestigiosa Berklee College of Music dove è anche direttrice dell’Institute of Jazz and Gender Justice, dipartimento da lei stessa fondato per rendere consapevoli allievi e musicisti come anche nel jazz ci sia da sempre una grande discriminazione di genere (le donne musiciste sono rarissime, è loro concesso solo cantare…).

Insieme a lei, un gruppo di altrettanto solidi artisti che si sono uniti nel progetto Social Science, il pianista e tastierista Aaron Parks, il chitarrista canadese Matthew Stevensil polistrumentista, produttore e compositore Morgan Guerin al basso e sassofono, la cantante Debo Ray e Kassa Overall, MC/DJ, artista che unisce jazz e hip hop (s’è esibito a Milano lo scorso novembre al JazzMi). Insomma, un bel parterre, ma non basta: al lungo lavoro di composizione e registrazione dell’album, durato due anni e mezzo, hanno partecipato anche ospiti d’eccezione come i rapper Kokayi in Purple Mountains, Maimouna Youssef in If Not Now, Rapsody, The Anthem, Raydar Ellis in Pray The Gay Away o i “parlati” dell’attore Malcolm-Jamal Warner in Bells (Ring Loudly) e della cantautrice e bassista Meshell Ndegeocello, in No Justice (For Political Prisoners).

Terri Lyne Carrington con i Social Cience – Photo Credit: Delphine Diallo

Si tratta, dunque, di un sofisticato progetto musicale, ma non solo: è anche un gran bel lavoro sociale e culturale che, invece di prendere la forma di un libro, ha assunto quella di uno spartito. 

Curioso, come ha raccontato la stessa Terri Lyne nelle interviste rilasciate in occasione dell’uscita del disco, chi sia stato l’inconsapevole motore della nascita dei Social Science: Donald Trump e la sua elezione a presidente degli Stati Uniti. Il dovere da cittadini di non stare zitti, la forma di protesta tradotta in parole e musica per le idee oltranziste del miliardario-presidente hanno unito questi artisti pronti a spaziare tra i generi musicali (dall’hip hop al brasiliano maracatu) e a mettere a fuoco i problemi che, secondo loro ovviamente, stanno affliggendo l’America.

Nella seconda parte del disco, il gruppo si abbandona a 40 difficili minuti di improvvisazione pura chiamati Dreams and Desperate Measures (Sogni e provvedimenti disperati) con il contributo della mitica bassista Esperanza Spalding.

Un messaggio libertario forte e chiaro, testimoniato proprio dalla volontà del gruppo di non legarsi a generi musicali definiti ma di collegare, in un universo liquido di note e ritmi, generi profondamente diversi, come bene hanno spiegato i Social Science: «Un’eclettica alternativa al mainstream. La musica trascende, rompe le barriere, ci rafforza, guarisce vecchie ferite. La Musica è Scienza Sociale».