Un italiano con il Brasile in testa e la bossa tra le dita. Tony Canto, siciliano di Messina, autore Sugar, è un musicista con spirito brasileiro. «Ho scoperto João Gilberto per la prima volta a 14 anni, per radio. Un suono che lambiva il silenzio», mi racconta. L’adolescenza lo ha portato ad altro, al rock, al pop, però quel piccolo seme era stato piantato e stava crescendo. Nel frattempo s’era iscritto a giurisprudenza, laureandosi e diventando avvocato. «A 40 anni ho deciso di vivere per e con la musica. Prima come produttore poi come musicista».
Con Joe Barbieri, altro artista che stimo moltissimo, su di lui avevo scritto il 18 novembre scorso in occasione del trentennio di attività, nel 2016 ha girato per i teatri italiani con Maestri – Gli autori della canzone leggera italiana, riletti per due chitarre, silenzi e voce sola, da Alberto Testa a Giorgio Conte, da Luigi Tenco, Sergio Bardotti a Lucio Dalla, tournée di altissimo livello – e non poteva essere altrimenti!, ascoltate Felicità – dove Tony suonava la sua inseparabile chitarra a sette corde (strumento usato nello Choro brasiliano).
Un mese fa ha pubblicato un singolo scritto di getto: «Avevo l’urgenza di condividerlo», dice. «Preferisco uscire con progetti strutturati. Ma ho sentito la necessità di raccontare un semplice concetto». Si intitola Casa, ed è un samba di base, con un buon sound pop. Musica carnevalesca, da ballo, con un testo che un tempo si sarebbe definito “impegnato”.
Tony, perché questa urgenza?
«È un brano utopistico, con un testo condiviso con Kaballà (al secolo Pippo Rinaldi, grande autore e compositore. Riascoltate In Gloria, dal suo primo album Petra Lavica del 1991, mitico! ndr). Casa è una dichiarazione di non appartenenza. L’appartenenza come concetto non mi appartiene, produce mostri, guerre. Ce lo dimostrano gli animali: il mondo è la loro casa, conoscono l’armonia, non sanno cosa siano né nazioni né religioni, esistono e convivono. Il cortocircuito esistenziale è l’uomo, adatta l’ambiente a se stesso e, se migra, viene fermato da altri uomini. Il mondo è casa e l’amore è l’unica casa possibile. Una guerra in un luogo è una guerra in tutto il mondo».
Se prendiamo questa strada hai ragione, non è uno dei momenti migliori dell’umanità. E non solo per la guerra in Ucraina…
«È un periodo di decadenza, di passaggio. C’è tanta ignoranza, viviamo in un grande Colosseo, dove devi essere veloce, dove tutto è bianco o nero, bene o male, lotta, non vedo la volontà di cambiare almeno al momento».
La musica, o meglio, il business della musica, non è tanto diverso.
«Vedi nelle case discografiche: pur di mantenere il posto cedono a regole estranee al valore dell’artista, guadagnano sui click… è un cane che si morde tristemente la coda. Ma ci sono colpe anche in altre zone mainstream, pensa a Sanremo, non è il festival della musica italiana ma quello delle visualizzazioni italiane».
Ed è sempre più difficile vivere di musica!
«Io ci riesco, faccio il produttore e l’arrangiatore, collaboro con tanti artisti del calibro di Mario Venuti, Mannarino, Musica Nuda, sono autore Sugar…».
Ma, la tua passione per il Brasile?
«Fu da adolescente, grazie a João Gilberto. Ho sempre ascoltato la bossanova, il samba, ritmi che li sento miei, tanto che la Sugar, in occasione dell’uscita del mio disco Moltiplicato, uscito nel 2016, mi ha mandato in Brasile per farmi conoscere in quel circuito. I brasiliani si sono gasati nell’ascoltare il mio album, perché hanno ritrovato il loro linguaggio».
Hai registrato anche un disco a Rio. C’è sempre il concetto della casa…
«Si intitolava Casa do Canto, l’ho registrato a Rio de Janeiro e pubblicato nel gennaio dello scorso anno. È stata una gran bella esperienza perché ho conosciuto e suonato con bravi artisti, come Chico César, Celso Fonseca, Barro. Quello che mi piace della cultura brasiliana è che la musica non è un orpello, ma qualcosa di estremamente serio e come tale ha valore».
In questo lavoro hai inciso – con Celso Fonseca – un riarrangiamento in bossa di Parlami d’Amore Mariù!
«La suono sempre nei miei concerti. Ho voluto costruire un arrangiamento che fosse consono al testo di Ennio Neri e alla musica di Cesare Bixio composta nel 1932. Fonseca l’aveva ascoltata nella mia versione, non la conosceva in quella originale, e ha voluto cantarla con me perché gli era piaciuta. C’erano termini in italiano desueti, una frase come So che una bella e maliarda sirena sei tu, per lui era uno scioglilingua, comunque ce l’abbiamo fatta!».