Maurizio Petrelli, crooner per mosche e zanzare

Scrivo canzoni per mosche e zanzare. È il curioso titolo del disco in uscita domani firmato da Maurizio Petrelli, farmacista di Monteroni in provincia di Lecce e musicista per passione e studio. Petrelli, 67 anni, è un simpatico signore innamorato di un modo di concepire la musica legato agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Brani costruiti per durare, dove il valore sta in un’alchimia di strumenti, in un buon testo e in arrangiamenti orchestrali. I suoi punti di riferimento non possono che essere Domenico Modugno e Frank Sinatra. Crooner, roba del secolo scorso, direte. Eppure, rifletto, ci vuole un ostinato coraggio per proporre in anni veloci e digitali come i nostri, dove le canzoni le fanno i computer e il canto è adattato alle mode del momento, un passo diverso, arioso, pignolo, orchestrato. Proprio questo mi è piaciuto di lui. L’essere controcorrente al limite della provocazione, il ribadire con leggerezza e autoironia uno spaccato di vita e note che diventa senza tempo, un pianeta lontano ma raggiungibile da tutti. 

Maurizio, hai attirato l’attenzione! Scrivo musica per mosche e zanzare cosa significa?
«Tutto è nato da una conversazione con il mio manager. Si parlava di canzoni, di quelle che si ascoltano in questo periodo e delle altre che si scrivevano 50, 60 anni fa. Hai presente Califano? Tutto il resto è noiaLa musica che faccio è out, esclusa dal mainstream, così mi è venuta questa frase, faccio musica per mosche e zanzare, nel senso che non l’ascolta nessuno!»·

Come ti è venuta la passione per le big band, quelle che fondono jazz, bossa, salsa?
Ho iniziato da piccolo a suonare la batteria. Poi mi sono appassionato, ho studiato pianoforte e canto. Quindi, spinto dalle canzoni di Lucio Dalla, ho iniziato a cantare avvicinandomi al R&B, al Soul, al Blues. Sono nato musicista prima che farmacista. Poi, sai come vanno le cose, arrivi a 18 anni, hai la farmacia di famiglia, non ho avuto il coraggio di perdere un lavoro sicuro. Mi sono iscritto a farmacia e ho gestito entrambe le professioni per 40 anni. Oggi faccio solo il musicista».

Hai pubblicato altri dischi prima di questo, giusto?
«Due lavori che andavano in ostinata direzione big band, nel 2010 Pugliamerica A/R un omaggio a Modugno e Sinatra, nel 2015 Amori e altre storie (divagazioni di un Alchimista), primo album con mie composizioni, nel 2018 Scatole di Vetro, ancora miei inediti. Mi piace arrangiare tutto, dalla batteria ai fiati. Questo nuovo disco ha una taglio diverso dai precedenti. Il Covid ha fermato anche me, ed è stato l’occasione per pensare a un altro disco, questo appena pubblicato, dotato di suoni più moderni, soprattutto nella scrittura, un po’ più… ruffiana».

Hey Maria l’hai registrata a Cuba, perché?
«La musica è stata suonata a La Habana perché avevo conosciuto un bassista fantastico cubano ed eravamo diventati amici. Io l’ho cantata da Roma, in uno slang voluto tra italiano e spagnolo».

Quindi ora suoni con una band in formato ridotto?
«Sì, dipende anche dalla disponibilità dei musicisti che mi accompagnano. Il gruppo base è composto da pianoforte, basso, batteria, chitarra e voce. Il 29 gennaio lo presentiamo in questa formazione al teatro Cavallino Bianco di Galatina, vicino a Lecce. In febbraio sarò a Matera e a Lecce con la presenza di tre fiati».

Maurizio, c’è spazio per la tua musica?
«Tre anni fa feci un concerto a Marina di Maruggio. C’erano una centinaio di persone che mi guardavano con molto scetticismo, del genere: “ma questo qui che vuole?». Alla fine della serata una signora si avvicinò e mi disse: “però, maestro, che bella questa musica”. Una spiegazione su così tanta diffidenza di fondo verso questo genere ce l’ho, abbiamo paura di emozionarci. Ci trinceriamo dietro una musica che non si capisce, eppure una musica non sdolcinata ma di sentimento è possibile. Se ognuno di noi si mettesse nelle condizioni di aprirsi a cose diverse credo che lo spazio lo troveremmo».

Uhmmm, la vedo difficile…
«Certo, perché governa il business, governano i soldi. Il mio scopo è far ascoltare, dare la possibilità a tutti di sentire. Poi ognuno decide se è valida o meno. Le collocazioni nel mercato musicale le decidono entità superiori, vedi Sanremo, il premio Tenco».

Che generi ascolti?
«Di tutto, soprattutto Soul».

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