“Felona e Sorona”, il capolavoro prog raccontato da Aldo Tagliapietra

Sto riascoltando un disco bellissimo uscito nel 1973. Il prossimo anno compirà cinquanta primavere, un lavoro atemporale, profondamente progressive nella musica e nei testi. Si tratta di Felona e Sorona de Le Orme, una delle pietre miliari del rock prog non solo italiano. In quegli anni nacquero centinaia di gruppi che si dedicavano a questo nuovo genere musicale, impegnato nella musica e nei testi, di rottura, che richiedeva – come volevano i tempi – una certa complessità, considerata una delle virtù per poter cambiare la società di allora. Anni proficui dove la creatività viaggiava a mille e le avventure sonore erano praterie sterminate.

Settimana scorsa ho proposto su Musicabile due uscite importanti, il nuovo lavoro del Banco del Mutuo Soccorso, Orlando: Le Forme dell’Amore e quello di Franco Mussida, ex chitarrista e cofondatore della PFM, Il Pianeta della Musica e il viaggio di Iòtu. Due album prog, distanti tra loro, il primo opulento, ricco, un vero proprio poema d’armi e d’amore (si rifà all’Orlando Furioso dell’Ariosto), il secondo minimalista, una sofisticata sottrazione in cerca della purezza del suono. Oggi vi voglio parlare – e lo farò tramite uno degli autori, Aldo Tagliapietra – del terzo Moloch-prog italiano, Le Orme. Allora, Banco, PFM e Orme erano le tre band prog italiane più famose del mondo, la musica italiana stava vivendo uno dei suoi momenti più alti, concerti negli States, in quel’Inghilterra patria del genere, ovunque tournée trionfali. 

Vi voglio raccontare, con l’aiuto di Aldo, la storia di un album, Felona e Sorona, diventato una delle colonne del prog italico, ma anche di quegli anni dove si abbandonò il beat per una musica densa di riferimenti letterari e musicali, dove il pop, inteso nella sua accezione vera, popolare, veniva contaminato dal rock, dal jazz, dalla musica contemporanea.

Aldo Tagliapietra – Foto Renzo De Grandi

Aldo Tagliapietra, 77 anni, è nato a Murano, suo padre era un affermato mastro vetraio. Lui, invece, aveva il pallino della musica. È chitarrista, bassista, tastierista, suonatore di sitar una sua grande passione, la sua voce in falsetto è stata il marchio di fabbrica della band. Il prossimo anno Aldo ha già pronto, con la sua Tagliapietra Band, l’omaggio al cinquantesimo di Felona e Sorona. Lo ha fatto con i due precedenti album, Collage del 1971 e Uomo di Pezza del 1972. Vive a Spinea, in provincia di Venezia, «il paesello della Federica Pellegrini» mi racconta. «Sono un suo grande fan. La mamma di Federica è muranese, come me!».

Aldo, che piacere sentirti, ti ho chiamato per parlare di Felona e Sorona, del prog…
«Scusa Beppe, tu di che anno sei?»

Del ’61, perché?
«L’anno in cui ho cominciato a suonare la chitarra! Me l’aveva venduta un compagno di classe. Ai tempi non c’erano né video, né Internet, né metodi per imparare a suonarla. Ne esisteva uno, pubblicato alla fine degli anni Quaranta, il Metodo Moderno per diventare Solisti Jazz-hot di chitarra di Socrate Barbini, in due volumi. Tecnicamente, oggi, i ragazzi hanno infinite possibilità rispetto alla mia generazione. Allora si suonavano i Beatles, erano all’apice della loro storia: se non riuscivamo a tirar fuori un accordo e sapevamo che c’era un chitarrista che lo conosceva, prendevamo l’autobus e andavamo dall’altra parte della città a cercarlo!».

Così ti sei arrangiato…
«A vent’anni ho acquisito la licenza in teoria e solfeggio al conservatorio Pollini di Padova: volevo suonare, quindi dovevo per forza conoscere le basi della musica».

Dopo le prime esperienze “beat” vi siete buttati nel prog!
«Allora il prog si chiamava pop-rock romantico: è stato così che i Pink Floyd sono passati dalle canzonette alla musica psichedelica. Nel 1969 come Orme pubblicammo Ad Gloriam, un disco che reputavamo troppo avanti per essere capito, il titolo voleva dire propio questo.  Era un album di passaggio, un avanzamento, un’esigenza che sentivamo nell’aria».

Il prog è farina inglese.
«Sì, loro sono stati i primi. Erano diventati famosi perché facevano le cosiddette suite, brani composti, lunghi, complessi legati tra loro».

Nel ’73, dopo due album strepitosi in sequenza, Collage e Uomo di Pezza – quest’ultimo conteneva, credo, il vostro più grande successo, Gioco di Bimba – è arrivato Felona e Sorona
«Un disco molto amato. Tutto è iniziato con un’evoluzione, c’era la voglia di sperimentare, eravamo pieni di creatività ed entusiasmo. Quella musica era nell’aria: noi rockettari avevamo capito che dovevamo guardare avanti. Ascoltavamo Stravinskij, Šostakóvič, musica d’avanguardia».

Aldo Tagliapietra – Foto Renzo De Grandi

Torniamo al tuo strumento, la chitarra: l’hai imparata da autodidatta?
«I conservatori allora non avevano ancora nel programma di studi la chitarra. Eravamo tutti autodidatti, si progrediva grazie all’aiuto di qualcuno che ne sapeva di più. La musica l’abbiamo vissuta – e la viviamo ancora – come passione. Nella gerarchia degli interessi e affetti al primo posto c’era lei, poi la famiglia, i figli e per ultimi, i soldi, non li abbiamo mai cercati!».

Hai suonato tanto anche il basso…
«Sono stato costretto (ride, ndr). Allora per le giovani band c’era un appuntamento inevitabile, la leva obbligatoria. Quando Claudio Galieri, il nostro bassista, dovette partire militare, il basso passò a me. Mi comprai un Gibson SG… È da allora che mi sono abituato a suonare la chitarra con il doppio manico».

I tuoi genitori cosa pensavano della tua passione/professione?
«Mi hanno lasciato fare. Anzi, mi hanno supportato. La licenza di teoria e solfeggio l’ho presa come privatista».

Come vi siete inventati Felona e Sorona?
«Abbiamo seguito il prog inglese. I Genesis, i Van Der Graaf Generator, i Jethro Tull usavano queste suite per raccontare delle storie. Si componevano le musiche, le cantavo con un inglese maccheronico per vederne l’effetto. Quindi ci si metteva a scrivere i testi, dovevano essere il più poetici possibile. Con Felona e Sorona abbiamo voluto raccontare senza pretenziosità una favola, due pianeti distanti tra loro, in contrapposizione, luce/oscurità, allegria/desolazione. Un pianeta della felicità e un altro della tristezza… In quegli anni eravamo molto organizzati: Tony Pagliuca (il tastierista, ndr) era davvero bravo con le parole, io con le melodie, mentre Michi Dei Rossi (il batterista, ndr) era fortissimo negli arrangiamenti».

E quella tua caratteristica voce in falsetto?
«È la mia, non sarei capace di cantare in altra maniera. È nata mentre incidevamo Ad Gloriam cercando di imitare gli acuti di John Lennon. Canto meglio ora!».

Solo il primo brano, Sospesi nell’Incredibile, era di oltre otto minuti, gli altri sono tutti più brevi…
«Inizialmente avevo portato delle melodie “staccate”. Più entravamo nel lavoro e più ci accorgevamo che c’era un filo conduttore. Non è stato facile renderle omogenee, la licenza di teoria e solfeggio mi è stata utilissima. Un lungo lavoro che ci ha dato grandi soddisfazioni. È stato il disco che ci ha aperto le porte ai principali festival di rock progressive del mondo».

Una breve parentesi: Gioco di Bimba è il vostro brano più famoso.
«Era contenuto in Uomo di Pezza. Nella hit parade di Lelio Luttazzi è stato un enorme successo, è tuttora il nostro singolo più venduto e ascoltato, però ci ha attirato le critiche feroci dei nostri fan. Dicevano che ci eravamo venduti, che avevamo banalizzato il nostro lavoro. Quando lo suonavamo dal vivo, proponendo tutto Uomo di Pezza, ci fischiavano…».

Chi era il vostro pubblico?
«Innanzitutto era un pubblico di maschietti, non vedevi una ragazza in platea! Altri gruppi come i Pooh, per esempio, avevano un pubblico misto. I nostri ascoltatori erano molto critici, preparati, volevano sentire subito l’ultimo disco che era uscito, erano esigenti. Si compravano i vinili e si studiavano a fondo la copertina, andavano immediatamente ai credits per vedere chi aveva suonato con noi, dove era stato registrato il disco. Le immagini di copertina erano importantissime, per questo le curavamo artisticamente. Quella di Uomo di Pezza era di Walter Mac Mazzieri, allora pittore famosissimo, mentre Felona e Sorona, di Lanfranco Frigeri, pittore mantovano».

Aldo perché tu, Tony e Michi vi siete lasciati?
«John Lennon sosteneva che un gruppo non può durare oltre i cinque anni. Pagliuca se n’è andato perché aveva altri progetti. Lo abbiamo sostituito con Michele Bon. Poi, dopo fasi alterne, nel 2009 ho lasciato anch’io, perché non c’era più niente da dire. Le band brave e famose di solito sono costituite da personalità forti che inevitabilmente finiscono per scontrarsi».

4 risposte a ““Felona e Sorona”, il capolavoro prog raccontato da Aldo Tagliapietra

  1. bellissima intervista ,Aldo per me è l’anima delle Orme ,la sua voce è unica ,a differenza di tutto quello che viene scritto sul prog Italiano oltre a ORME ,BMS E PFM Io adoro molto La Nuova Idea .

  2. Secondo me, ritengo, Felona e Sorona de le Orme il migliore album di musica italiana Prog. Caro Aldo quando uscirà il nuovo album non vedo l’ora di ascoltarlo.Ti ringrazio e tanti auguri di un felice Anno Nuovo.

  3. Grandissimi Le Orme e grandissimo Aldo. Fateci un regalo, un unico mega concerto d’addio con Aldo, Toni, Michi e Tolo! Unico e irripetibile e magari a Venezia, la vostra città! sarebbe un regalo fantastico!

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